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 2025  novembre 25 Martedì calendario

Morbillo, studio dell’Iss su Lancet: ecco perché l’Italia rischia nuove epidemie

L’Italia è oggi uno dei Paesi europei con maggiore rischio di nuovi focolai di morbillo. A confermarlo è uno studio appena pubblicato su Lancet Infectious Diseases, dai ricercatori del Dipartimento di Malattie Infettive dell’Istituto superiore di sanità e del  Centro per le emergenze sanitarie della Fondazione Bruno Kessler di Trento. Il lavoro scientifico ricostruisce dieci anni di trasmissioni basandosi sui dati della sorveglianza nazionale. 
I ricercatori hanno analizzato quasi 15 mila casi notificati al Sistema Nazionale Integrato di Sorveglianza del Morbillo e della Rosolia dal 2013 al 2022 e oltre 700 episodi di trasmissione documentata. Il risultato è un modello matematico che fotografa con precisione le lacune immunitarie presenti nel Paese: nel 2025, il 9,2 per cento della popolazione rimane suscettibile, con livelli più elevati tra i bambini e tra gli adulti nati negli anni Ottanta e Novanta.  È una fascia ampia, distribuita in modo eterogeneo sul territorio, e oggi rappresenta il vero punto debole della protezione collettiva. Un terreno che permette al virus di circolare e di generare nuovi focolai, come già accaduto prima della pandemia.
Uno degli aspetti più innovativi dello studio è la ricostruzione delle catene di trasmissione basata su 795 episodi in cui è stato possibile identificare con precisione chi avesse contagiato chi. Questo lavoro conferma ciò che i bollettini recenti lasciavano intuire: la maggior parte della trasmissione avviene tra adulti non immunizzati. Oltre l’88 per cento degli episodi ha origine in persone non vaccinate e un terzo coinvolge individui di età compresa tra 20 e 39 anni. La scuola, spesso percepita come epicentro della diffusione, ha inciso molto meno del previsto, con appena l’8,5 per cento dei contagi avvenuti in quell’ambito. Il virus circola soprattutto in famiglia, in comunità e in contesti informali, dove il contatto stretto tra persone non immunizzate facilita la trasmissione. Il tempo di generazione, calcolato in 11,7 giorni, indica che il virus mantiene un ritmo di diffusione costante e difficilmente controllabile se la quota di suscettibili resta elevata.
La stima del numero di riproduzione effettivo (Rₑ) per il 2025 varia da 1,31 a 1,78 nelle regioni italiane. Sono valori simili a quelli osservati durante i grandi focolai del 2017 e delle ondate del 2013-2019. L’Emilia-Romagna presenta uno degli indici più alti, spinto dalla presenza di adulti non immunizzati. L’Alto Adige combina basse coperture pediatriche a una quota significativa di suscettibili tra i più giovani, superando il 15 per cento nella fascia sotto i 20 anni. La Calabria, negli ultimi dati di sorveglianza, guida l’incidenza, seguita da Marche, Alto Adige, Lazio e Sicilia. Questa disomogeneità crea un mosaico complesso: alcune regioni hanno rafforzato la protezione nei bambini, altre mostrano difficoltà persistenti nel garantire i richiami o nel raggiungere le fasce adulte. Il risultato complessivo è un Paese in cui il virus può trovare facilmente gruppi vulnerabili, soprattutto quando importato tramite viaggi internazionali.
La crescita delle segnalazioni nel 2025 rende questo quadro ancora più concreto. Da gennaio a settembre sono stati registrati 459 casi, con un aumento evidente rispetto ai mesi precedenti e un picco di contagi a maggio, quasi il doppio rispetto ad aprile. Gli esperti attribuiscono parte dell’aumento ai movimenti legati alle festività primaverili e ai viaggi verso Paesi con epidemie attive. L’incidenza più alta si osserva nei bambini sotto i cinque anni, che restano i più vulnerabili alle complicanze. Ventidue casi riguardano neonati sotto l’anno di età, ancora troppo piccoli per essere vaccinati. Nel complesso, più della metà dei contagiati è stata ricoverata e circa un terzo ha sviluppato almeno una complicanza: epatite, polmonite, cheratocongiuntivite, insufficienza respiratoria o diarrea. Sono stati documentati anche tre casi di encefalite, due negli adulti e uno in un preadolescente, tutti privi di protezione vaccinale.
La situazione italiana si colloca dentro un quadro globale segnato da un aumento significativo dei casi. In Europa, l’Organizzazione mondiale della sanità registra un incremento da 941 casi nel 2022 a oltre 42 mila nel 2023. Una parte consistente della recrudescenza è legata alla diminuzione delle coperture vaccinali durante la pandemia, all’interruzione dei servizi sanitari e alla crescente diffusione di informazioni non corrette sui vaccini. In diversi Paesi, come il Regno Unito, le autorità sanitarie hanno lanciato piani straordinari per recuperare milioni di bambini e adolescenti senza immunizzazione. Gli Stati Uniti stanno vivendo il numero di casi più alto degli ultimi vent’anni, con ricoveri e decessi in aree dove le coperture sono scese sotto l’obiettivo del 95 per cento.
Si tratta di segnali che evidenziano come il morbillo possa tornare rapidamente a livelli elevati quando si allentano le difese vaccinali della popolazione.
Lo studio di Lancet Infectious Diseases indica con precisione cosa occorre fare per evitare che l’Italia torni a confrontarsi con migliaia di casi: migliorare la copertura vaccinale nei bambini, recuperare chi ha saltato la seconda dose e soprattutto realizzare campagne mirate per gli adulti non immunizzati. Le coorti nate tra gli anni Ottanta e Novanta rappresentano oggi la quota più critica e possono sostenere focolai anche in presenza di buoni livelli di vaccinazione pediatrica. Le differenze regionali richiedono interventi calibrati, capaci di rispondere alle specifiche lacune locali. A questo si aggiunge la necessità di una comunicazione chiara e continua sui benefici del vaccino e di un rafforzamento della sorveglianza, che negli ultimi anni si è dimostrata uno strumento essenziale per comprendere la dinamica della trasmissione