Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2025  novembre 25 Martedì calendario

Stipendi bassi e prezzi alti sono freni alla crescita

L’Italia continua ad essere, insieme alla Germania, uno degli ultimi Paesi dell’Ue per quanto riguarda la crescita dell’economia. Questi gli ultimi dati della Commissione europea sulla crescita del Pil nel terzo trimestre di quest’anno (prima cifra) e la stima per la crescita in tutto il 2025 (seconda cifra): Spagna +0.6, 2.9; Francia +0.5, 0.7; Paesi Bassi +0.4, 1.7; Italia +0.0, 0.4; Germania + 0.0, 0.2. Tenere i conti in ordine mantenendo sotto controllo il deficit è una strada che certamente avvantaggia il Paese. Lo si vede nella riduzione dello spread che significa minor costo del debito per lo Stato e anche per le imprese.
Ma dobbiamo chiederci se questo non stia avvenendo al prezzo di rallentare la crescita. E ora che verranno meno le risorse del Pnrr (negli ultimi due anni un contributo di circa 30 miliardi di euro l’anno, quasi un punto e mezzo di Pil, che sono stati il motivo principale per cui la crescita è rimasta positiva) dovremo farci un’altra domanda: se non sia giunto il momento di destinare più risorse agli investimenti.
La domanda dalla quale si dovrebbe partire è: perché la nostra economia non cresce? La crescita, almeno nel breve periodo, dipende da due fattori: ciò che accade alla domanda, soprattutto ai consumi delle famiglie che rappresentano i due terzi circa del Pil, e ciò che accade all’offerta, cioè la produzione di beni e servizi da parte delle imprese. Due fattori contribuiscono a contenere i nostri consumi: stipendi troppo bassi e prezzi di beni e servizi troppo alti. I salari italiani sono bassi sia per il modo in cui sono determinati, sia perché sono troppo tassati.
La retribuzione media annuale netta per ciascun membro di una coppia senza figli in cui entrambi lavorano è 24,8 mila euro in Italia, 24,6 in Spagna, 32,5 in Francia, 39,6 in Germania, 43,9 in Danimarca, 47,9 nei Paesi Bassi, 85,6 in Svizzera (fonte Eurostat ). Sul lato dell’offerta i prezzi di alcuni servizi, l’elettricità in primis, sono alti perché chi li produce gode di una rendita che trasferisce su famiglie e imprese. Il governo potrebbe intervenire su entrambi i fattori, prezzi e salari, e così aiutare la crescita, ma non lo fa. Una delle ragioni per salari molto più bassi della media europea (lo spiega quasi ogni settimana il prof. Marco Leonardi sul Foglio ) è il modo in cui avviene la contrattazione fra sindacati e imprese. I contratti vengono stipulati spesso con anni di ritardo: se nel periodo di «vacanza contrattuale» c’è un picco di inflazione (come accadde nel 2023 dopo l’invasione russa dell’Ucraina) il potere d’acquisto dei salari si riduce e poi non viene mai del tutto recuperato. I metalmeccanici, che pure sono fra i lavoratori più protetti, la settimana scorsa hanno chiuso il nuovo contratto con 17 mesi di ritardo. Il governo avrebbe mille modi per premere su sindacati e imprese affinché i contratti si firmino in tempo, come accade nel resto d’Europa, ma incomprensibilmente questo governo non pare interessato ad occuparsene. Ancora più grave è che neppure il sindacato pare occuparsene. Sindacato e governo colludono anche quando si oppongono ad un salario minimo che ormai c’è ovunque in Europa (in 22 sui 27 Paesi Ue).
Nel mercato elettrico le rendite derivano dal modo in cui si forma il prezzo. Le fonti di energia (dall’idroelettrico al gas) hanno costi molto diversi: quasi zero l’idroelettrico se – come per lo più accade, le dighe sono vecchie e ormai ammortizzate – molto più alto il gas che dipende dal mercato spot di Amsterdam. Ma il prezzo dell’elettricità è unico e non tiene conto delle diverse fonti dell’energia. Riformare il mercato elettrico è difficile ovunque, non solo in Italia, anche perché grandi rendite creano potenti lobby. Ma consentire che queste rendite si scarichino su consumatori e imprese, taglieggiando il potere d’acquisto dei salari e frenando la crescita non è accettabile. Anche di questo il governo pare non volersi occupare. Pensate al costo delle comunicazioni. Oggi, grazie a WhatsApp, Signal e simili app, telefoniamo praticamente gratis: è cambiato il mondo rispetto ai tempi in cui il telefono era gestito da Telecom Italia, un monopolista che incassava ricche rendite trasferendole sulle nostre bollette telefoniche. Le ragioni per cui la nostra economia non cresce sono anche strutturali. Innanzitutto la concorrenza non è una priorità di questi ultimi anni. E poi scarsa formazione dei lavoratori, imprese troppo piccole etc. Anche queste ragioni devono essere affrontate e più tardi si comincia, più tardi i prezzi scenderanno, i salari aumenteranno e quindi la crescita riprenderà. A fronte di questi dati il governo, dalla presidente del Consiglio ai suoi ministri, dovrebbe spiegare perché ripete, ogni giorno, che la nostra economia conosce un momento di grande vitalità.