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 2025  novembre 25 Martedì calendario

Il Colle decide di non reagire. I sospetti su una strategia di FdI per tenere alta la tensione

Al Quirinale si aspettavano una giornata tranquilla. Un lunedì sereno, dopo la bufera della settimana scorsa innescata dall’articolo del quotidiano La Verità sul consigliere Francesco Saverio Garofani. E invece, poco prima di mezzogiorno, ecco che le agenzie di stampa rilanciano le variopinte dichiarazioni con cui Ignazio La Russa getta nuovo sale su una ferita che ancora non si era rimarginata del tutto. Il presidente del Senato, come già il capogruppo meloniano Galeazzo Bignami, critica Garofani per essersi «lasciato andare improvvidamente a tutta una serie di valutazioni sul governo e su Meloni». E lo invita a lasciare «a qualcun altro» il ruolo di segretario del Consiglio Supremo di Difesa.
Una sberla al Colle, un’altra. Che arriva proprio nel giorno in cui, sui quotidiani, Giorgia Meloni parla da Johannesburg, conferma di avere «un ottimo rapporto» con Sergio Mattarella e dichiara chiuso lo scontro istituzionale: «Non penso sia il caso di tornare su questa cosa». Dichiarazioni in sintonia con quelle del capo dello Stato, che sabato a Padova aveva parlato (bene) della missione sudafricana della premier. E invece. Poche ore più tardi è uno dei tre fondatori di FdI a tornare «su questa cosa», con parole e accenti molto sferzanti.
La risposta del Quirinale è un silenzio denso, stupefatto. Occhi sbarrati e bocche cucite in un glaciale «no comment». Si registra sorpresa e preoccupazione per la scelta di riacutizzare tensioni che erano state faticosamente sopite e ci si chiede il perché. Quest’aria elettrica, sospesa e gonfia di interrogativi, si distende solo un’ora più tardi, quando lo staff di La Russa comunica la (parziale) retromarcia. L’uomo che incarna la seconda carica dello Stato si dice dispiaciuto, assicura che non era sua intenzione chiedere le dimissioni e smentisce di aver voluto riaprire un caso che lui stesso, «come Giorgia Meloni», considerava chiuso. Ma poi, tra le righe, il presidente del Senato conferma le critiche a Garofani, si mette nei suoi scomodi panni e ne deduce che «potrebbe essere imbarazzato a svolgere il ruolo, non di consigliere, ma di segretario del Consiglio Supremo di Difesa».
Al Quirinale, l’ipotesi di un passo indietro non l’hanno mai presa in considerazione, perché le tesi di un complotto contro Meloni sono «ridicole» e perché Garofani non si è mai augurato «scossoni» per fermare la corsa della premier. Se La Russa avesse tenuto il punto, al Quirinale si sarebbero di certo posti il problema. Ma poiché è stato lo stesso «fratello» d’Italia a ricucire lo strappo provocato poco prima, al Colle hanno preso atto della «repentina» marcia indietro. E hanno deciso che non era proprio il caso di reagire, aprendo un fronte di contrasti con la personalità che, a norma di Costituzione, sarebbe chiamato a esercitare la supplenza di capo dello Stato in caso di impedimento di Mattarella.
Tra le prime dichiarazioni di La Russa e quella nota solo in parte contrita, è trascorsa un’ora. Sessanta minuti in cui ci sono stati contatti tra gli spin doctor del Senato e quelli del Quirinale e forse anche tra La Russa e Meloni. A Palazzo Madama assicurano però che il presidente del Senato e la premier non si sono sentiti e «non hanno concertato» l’uscita contro Garofani, prova ne sia il fatto che La Russa aveva chiamato Mattarella per esprimergli solidarietà quando il caso era esploso.
Eppure, anche le dichiarazioni della premier in Sudafrica vanno lette in filigrana. La leader di FdI assicura che nulla sapeva della nota con cui il «suo» Bignami ha tirato per la giacca il presidente Mattarella una settimana fa, chiedendo a Garofani di smentire le considerazioni che gli erano state rubate al ristorante. E però, al tempo stesso, Meloni rivendica la bontà della sfida lanciata da Bignami: «In realtà quella nota serviva proprio a chiudere i dubbi, non a concentrare l’attenzione sul problema».
Una formula che lascia aperti diversi interrogativi, ai quali al Quirinale non hanno ancora trovato risposta. Resta l’impressione che FdI abbia voluto aprire una fase nuova nei rapporti tra Palazzo Chigi e il Colle. E resta il timore che ai piani alti di via della Scrofa abbiano concertato una strategia mediatica e politica per graffiare l’immagine super partes del capo dello Stato. E forse, persino per indebolire l’istituzione della presidenza della Repubblica in vista della riforma del premierato.
Lo stop and go con cui il primo partito di governo ha più volte aperto e chiuso il caso, lascia aleggiare una ambiguità di fondo e legittima il sospetto che si voglia tenere alta la tensione con il Quirinale. In questo clima artico, fonti parlamentari di opposizione fanno notare «da che pulpito viene la predica», dal momento che La Russa rivendica la sua imparzialità nell’Aula del Senato e, fuori, la libertà di immergersi in campagna elettorale. Il dem Walter Verini si dice «basito» e ricorda che la seconda carica dello Stato «va a comiziare in giro per l’Italia come un attivista di partito».