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 2025  novembre 24 Lunedì calendario

«Il mio Sandokan è il sogno che Dio mi ha regalato»

Erano quattro anni che Can Yaman non concedeva un’intervista, e quando si siede per incontrare i giornalisti si capisce che preferirebbe essere in qualunque altro posto tranne che là. E per quanto si tratti di un metro e novanta d’uomo, con un milione di follower e una popolarità lievitata con serie popolarissime come Viola come il mare e Il Turco, una certa inquietudine è comprensibile. Dal primo dicembre vestirà su Rai1 i panni della Tigre della Malesia nella serie Sandokan, kolossal ampiamente pubblicizzato in tv (con tanto di conto alla rovescia), rivisitazione del celebre sceneggiato del 1976 tratto da Salgari e destinato a cambiare il corso della sua carriera. Occhi bistrati, scimitarra in pugno e tartaruga addominale, il turco Yaman, 36 anni, grazie al rilancio globale su Disney+ raggiungerà anche il pubblico anglofono. Partito da Istanbul, dopo cinque anni a Roma ora è a Madrid. E domani? «Lo dirà il destino».
È religioso?
«Semplicemente deista».
Cioè?
«Credo in Dio».
Da ragazzo com’era? Già un pirata?
«Ero molto serio. Ho fatto delle belle scuole grazie a mia madre, che teneva tanto alla mia educazione. Mi ha iscritto alla scuola italiana di Istanbul perché imparassi un’altra lingua. Ma era privata: quando la situazione economica di mio padre è peggiorata, me la sono cavata vincendo le borse di studio»
Che ricordi ha dell’infanzia?
«Istanbul è una città grandissima. La mia scuola si trovava nella parte europea e la mia casa in quella asiatica. Mi svegliavo alle 5 e mezza, il pulmino ci metteva due ore per arrivare a destinazione».
Cresciuto tra l’Oriente e l’Occidente, sulla crisi in Medio Oriente non si è mai esposto, a differenza di altri colleghi: perché?
«Non mi espongo perché viviamo in un’epoca piena di odio, dominata dagli haters. Per me un artista dovrebbe pensare ad altro: l’uomo saggio non parla, pensa. Come ha detto Brad Pitt in un’intervista: “io sono solo un attore, mi danno un copione e lo recito”. Davvero a qualcuno interessa cosa io pensi del mondo? Non bisogna prendersi troppo sul serio. E poi so di poter essere oggetto di invidia, perché Dio non si è trattenuto con me: mi ha dato un po’ tutto. Quindi devo bilanciare con una grande umiltà. Ed essere altruista, come Sandokan».
Cosa si aspetta da “Sandokan": una telefonata dagli Usa?
«Sarebbe un sogno. E quando si sogna tanto una cosa, arriva il momento in cui Dio te la regala».
Il suo successo, però, se l’è costruito da solo. Lavorando.
«Sono venuto cinque anni fa in Italia per Sandokan e mentre aspettavo di girarlo mi sono fatto una carriera qui. Spero di raccogliere i frutti di questo impegno. Ma non pianifico mai».
In Spagna che fa?
«Quest’anno ho imparato lo spagnolo, quattro ore al giorno per sei giorni alla settimana. Gli spagnoli mi hanno costruito un ruolo pazzesco alla James Bond in una serie d’azione di otto episodi (Il labirinto delle farfalle, ndr)».
Non è stufo di fare il maschio alfa?
«Io credo nel maschio sigma».
Prego?
«Il sigma è superiore all’alfa. L’alfa entra in competizione con gli altri uomini: io mai, fin dall’infanzia. Non mi importa di cosa fanno gli altri, io sono l’unico avversario di me stesso».
Ma i ruoli sono sempre quelli, da bello: o no?
«A parte che lo considero un privilegio... anche se Sandokan è “figo”, ha molto altro dentro: c’è la sua parte emotiva, i valori, l’inclusività, il suo abbracciare le diversità e l’evoluzione da pirata a salvatore di un popolo».
Insomma, anche Sandokan è un maschio sigma?
«Certo. È un maschio che mostra le sue fragilità».
E le sue quali sarebbero?
«Ne ho tantissime. Ansia, preoccupazioni per la mia famiglia, per la mia mamma. E quella di essere essere degno di ciò che faccio».
Cerca l’approvazione di Kabir Bedi?
«Kabir Bedi ha parlato sempre bene del nuovo Sandokan. E questa è la partenza migliore che potessi augurare a me e a tutta la grande squadra di questa serie».