Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2025  novembre 24 Lunedì calendario

Giulio Ferroni: “Trump un po’ D’Annunzio e quello sciupafemmine di Pasolini”

Gabriele D’Annunzio amava la politica e il potere da conquistare, ma ci fu chi arrivò prima di lui nella stanza dei bottoni e lo fregò.
Benito Mussolini.
Esattamente.
Il professor Giulio Ferroni, grande storico della letteratura, rovista nella immensa cantina dei dettagli, di quelle cose che si sanno ma che non si rievocano
Sa che Lenin aveva ammirazione per lui?
Vede? Avesse vissuto oggi…
D’Annunzio cavalca la vita, insegue la felicità, arruola nella mente idee, redige progetti e percorsi nella sua convinzione suprematista, nella deragliante autonomia che affida alla sua parte.
Nell’era di Trump la sua figura scorre come un parallelo insidioso.
Certo l’idea trumpiana della libertà assoluta, sganciata da ogni vincolo etico, e questa sua fede nella supremazia degli uni sugli altri rimandano spesso al nostro D’Annunzio.
Avremmo avuto D’Annunzio invece che Mussolini?
Forse sì, chi lo sa! Tra le mie carte trovo piccoli dettagli quotidiani. A me fa molta simpatia tutta la narrazione della visita (poi mancata) che avrebbe dovuto fare in Garfagnana a casa di Giovanni Pascoli.
Pascoli era il suo opposto!
L’uno minimalista e triste, dentro il recinto anche dei dolori e delle pene. L’altro esuberante, tonante, aggressivo, fantastico.
È il luogo comune che ci fa deragliare, copre la verità con la bugia, l’apparenza con la realtà. È il gioco fatuo della parola che si rincorre fino a farne costruzione solida?
Il luogo comune costruisce una realtà insidiosa.
Lei mille dettagli ha scovato nelle curve della critica ai grandi del Novecento.
Parliamo del maschio siciliano, per esempio?
Il gelosissimo e occhiuto marito. Il maschilismo come cifra genetica.
Cinema e teatro hanno descritto il maschio come il prototipo del grande amatore, dell’uomo-padrone, geloso, possessivo e sessualmente molto attivo. Sulla passionalità del siciliano gran corteggiatore ha riflettuto anche Leonardo Sciascia. Giovanni Verga si è incaricato di smontare l’altarino sul quale era issato il novello gladiatore.
Verga fu di diverso parere?
Utilizzò due sole parole, “L’ingravida balconi”, per declassare mestamente il maschio di Sicilia così tanto reclamizzato e ridurlo invece all’uomo che guarda, all’osservatore muto della donna distante e irraggiungibile.
È un maschio triste, piegato dall’incapacità di sostenere l’ardore che il luogo comune gli assegna, ma costretto a enfatizzare questo suo lato.
Quel maschio interpreterà il personaggio dell’uomo gelosissimo, del gran sentimentale ma resta un “ingravida balconi”.
Guarda, guarda e sogna. Spera, sospira.
Del resto lo stesso Brancati ci ricorda come questa enfasi sulla passione verso il soggetto femminile sia esagerata.
Invece, per dire, Pasolini è stato il corteggiato delle vip, l’amore impossibile delle donne.
Si innamorò del violino e durante il soggiorno a Casarsa prese lezioni da una eccellente violinista, Pina Calic che presto fu sedotta dalla sua personalità.
Pasolini scrisse anche di musica?
Ricordo lo scritto sulla sonata per violino numero uno di Bach, per esempio.
Un conquistatore di cuori femminili.
Maria Callas per tutte.