La Stampa, 24 novembre 2025
Intervista a Massimo Boldi
«La scorrettezza nella commedia? Io credo di avere avuto questa patente, che si prende se il pubblico ti ha scelto. Solo se hai il favore del pubblico puoi dire e fare quel che vuoi». Sebbene uno dei suoi personaggi più amati sia un bambino, Cipollino, in realtà Massimo Boldi ha compiuto 80 anni e per festeggiarli nel segno della commedia ha accettato l’invito di Ezio Greggio al Monte-Carlo Film Festival, dove ha ritirato il premio alla carriera.
Partiamo con un bilancio della sua carriera.
«Io non sono nato a Roma, vengo da Luino, un paesello, e non sono neanche figlio di un attore famoso o di un produttore. Ma ho sempre cercato di far divertire la gente e sono molto felice perché alla fine sono riuscito a conquistarmi cinque generazioni, dai ragazzi agli adulti, e questo mi fa tanto piacere».
Cosa la fa ridere?
«Le liti dei politici. La tv non è più fatta di argomenti simpatici, ma di politica, si vedono solo bianchi, rossi, mezzi bianchi, mezzi rossi, verdi, di tutti i colori. O ti becchi quelli, o vai su Cine 34».
Com’è oggi il suo rapporto con il pubblico?
«Sono sempre molto affettuosi. Mi fermano e mi dicono “Massimo, sono cresciuto con i tuoi film”. Una bella soddisfazione, specie quando chiedo quanti anni hanno e mi rispondono “Settanta”!»
Quando ha scoperto di poter far ridere?
«Da bambino, a scuola facevo già divertire i compagni».
E quando ha capito di poterlo trasformare in un lavoro?
«Il dubbio mi è rimasto per un po’, anche quando ho iniziato a fare il primo film e poi la tv alla grande. Perché avevo messo su famiglia, avevo già mia figlia Micaela, dovevo pensarci bene. In quel periodo come secondo e terzo lavoro facevo il fattorino, l’autista del conte Vistarino, sono stato anche venditore per la Motta nella zona di Varese. Tutti i lavori più umili».
Le è servito per i suoi personaggi?
«Molto, ho raccolto in giro certi modi di fare e di esprimersi. Mi hanno ispirato anche i tormentoni che mi sono inventato nei film, da “Bestia che male” a “Ta-ta-ta-tachicardia”. Si ricorda, ne I due carabinieri quella scena (me la rifa davanti, ndr) in cui alzo il telefono e dico: “Mamma, ho sparato a un uomo, ta-ta-ta-ta”».
Tra tutti a quale personaggio è rimasto più affezionato?
«A Max Cipollino, perché ancora oggi è un bambino. Che poi sono io, giovane dentro».
Come sta vivendo questi 80 anni e il tempo che passa?
«Cercando sempre di far finta che non passi. Però adesso che li ho compiuti ci penso, 80 sono un bel traguardo, un po’ mi preoccupa, ma spero vada sempre avanti così».
Rimpianti ne ha?
«No, ho dei ringraziamenti. Quando sono arrivato a Milano ho conosciuto artisti stupendi che mi hanno proposto di lavorare con loro, come Cochi e Renato, Paolo Villaggio, Enzo Jannacci».
Se pensa a una sua prima volta importante a cosa pensa?
«A Movie Rush – La febbre del cinema, il mio primo film da protagonista, con Loredana Bertè. Era il 1976, Loredana era bellissima e sfacciata. Girava con gli hot pants con le chiappe di fuori, tutti la guardavano per com’era bella».
Un ricordo di Paolo Villaggio?
«Un grande amico. Era un comico puro, straordinario, che però non rideva mai alle battute di nessuno. Con me invece rideva sempre, abbiamo fatto tanti bei film insieme».
E Renato Pozzetto?
«Sono stato a casa sua per il suo compleanno, è stata una bella festa, mi ha fatto piacere, ancora ci sentiamo».
Con Christian De Sica si sente ancora?
«Sì, sì. Ha deciso di fare l’attore serio e drammatico, però».
A lei non interessa?
«Ho interpretato il film di Pupi Avati Festival e poco altro, mi è bastato. Trovo che far ridere sia importante, perché fa stare bene le persone. Tanta gente tuttora mi ringrazia per averli fatti ridere in momenti drammatici delle loro vite. Sapere di essere riuscito a consolare le persone è una grande soddisfazione».
Chi le manca oggi più di tutti?
«Non entro nel familiare, mi manca Carlo Vanzina. Con suo fratello Enrico e Christian abbiamo inventato un genere che verrà ricordato sempre».
Perché i cinepanettoni avevano tanto successo?
«Perché facevamo ridere. Raccontavamo i tempi e il pubblico si è sempre immedesimato, si vedeva sullo schermo e si piaceva così. Su di noi hanno scritto tanti articoli, ma premi ben pochi, perché quei film fatti con Christian erano semplici».
A parte i film natalizi, c’è un film che ha fatto e rifarebbe oggi?
«Yuppies, che è venuto prima dei film natalizi. Ne abbiamo anche parlato con Ezio Greggio e gli altri, chissà che prima o poi non si riesca».
Le sembra in salute la commedia oggi in Italia?
«Sono state spezzate le gambe al cinema. Il post Covid è un grosso problema, la gente non va più al cinema».
Ci sono state eccezioni, come il film di Paola Cortellesi C’è ancora domani.
«Certo, lì il pubblico ha premiato il cinema fatto di grandi professionisti, simpatici e capaci. Ma in generale cosa c’è di veramente nuovo? Quasi niente. Ed è un peccato. Anche a livello dei comici».
Quali le piacciono oggi?
«Troverei interessante fare un film con Angelo Duro».
Perché?
«Anche se tanti con la puzza sotto il naso lo criticano perché dice solo parolacce, io invece credo sia bravo. A me piace anche perché è scorretto».
Come lei?
«Se devo dire un “Vaffa” lo dico comunque, perché se fa ridere fa ridere. Come si dice, “quando ce vo’ ce vo’”».
Checco Zalone la convince?
«Sì. Meno di Duro, però».
Come mai?
«Mi sembra più un celentanoide come figura, lo trovo molto simile a Celentano».
Una cosa che nessuno sa di lei?
«La sera quando vado a letto mi faccio il segno della croce».
Una cosa che ama e una cosa che odia?
«Le mie figlie le amo. Odio… i produttori che non finanziano i film che vogliamo fare».
Un desiderio che vorrebbe condividere?
«Ho un progetto che mi sta a cuore: un film pieno di giovani e facce nuove. Vorrei ricominciare da zero, da capo-squadra, con un’idea valida e divertente tratta da un libro che non svelerò, posso solo dire che ha avuto grande successo nei primi del 900».
A proposito di nuovi progetti, è vero che sta preparando un documentario su di lei?
«Vero. Per com’è stata la mia vita ne servirebbero tre di documentari, perché è stata curiosa, variegata. Poi sono vivo e fanno un documentario su di me. Bello, no?»