corriere.it, 24 novembre 2025
«Niente Coca Cola e maionese, altrimenti finite all’inferno». Impone alle figlie le regole di una predicatrice: mamma a processo a Torino
Nella comunità nigeriana torinese si è fatta conoscere per l’interpretazione intransigente della Bibbia, trasmessa durante i sermoni della domenica in abiti tradizionali, con canti gospel intonati in un’atmosfera festosa e conviviale. Quando la predicatrice liberiana Stella David è mancata ad appena 42 anni, la scorsa primavera, era sottoposta alla misura del divieto di avvicinamento, disposta dal gip nell’ambito di un’inchiesta per maltrattamenti (coordinata dal pubblico ministero Barbara Badellino).
Martedì 25 novembre sarebbe dovuta comparire davanti al gup per l’udienza preliminare, ma la sua posizione a questo punto sarà ovviamente dichiarata estinta per morte del reo. In compenso, a processo ci sarà la madre di due presunte vittime, che risponde dello stesso reato di maltrattamenti: stando alle accuse, avrebbe imposto alle figlie, oggi di 19 e 20 anni, le rigide regole di comportamento ispirate al credo della leader religiosa.
Secondo quanto documentato dagli inquirenti nel corso delle indagini, nel tempo – almeno fino alla fine del 2023 – alla predicatrice sarebbero stati affidati decine di bambini «a scopo educativo» dai loro genitori. In sostanza, la donna avrebbe messo in piedi nelle stanze della propria abitazione una sorta di collegio informale, contando su un’incondizionata fiducia da parte dei genitori per quanto riguardava i mezzi di correzione da adottare, differenziati però sulla base del genere (maschile o femminile) e dell’età. Alle ragazze, per esempio, era vietato indossare i pantaloni e mangiare determinati cibi, come la carne di maiale, la maionese. Agli allievi – sia maschi che femmine – era vietata anche la Coca Cola.
Le due adolescenti che figurano come persone offese sarebbero state costrette a digiunare, a passare la notte in piedi «per punizione» o sul balcone in pigiama, «anche durante la stagione invernale». Chi trasgrediva alle regole imposte dalla predicatrice sarebbe stato redarguito, percosso con un mestolo di legno, punito con morsi, schiaffi. Secondo l’ispirazione religiosa e oltranzista, tutti venivano costantemente minacciati di finire all’inferno, «da Satana». Tra le vittime c’è anche un bambino di nove anni, che sarebbe stato malmenato «con schiaffi sulle mani e sul volto» e – ovviamente – con il mestolo.
Dalle dichiarazioni rese durante le indagini sarebbe emerso il ritratto di una donna carismatica, che godeva di un rispetto reverenziale e in grado, con i suoi sermoni, di influenzare i comportamenti dei seguaci della Yahweh El-Shadai Assembly, la comunità spirituale di stampo pentecostale da lei guidata (almeno a Torino). La donna, difesa dall’avvocato Roberto Impeduglia, ha sempre negato di aver creato un riformatorio, spiegando di aver solo aiutato la madre delle adolescenti in veste di baby sitter. Inoltre, ha ricondotto i propri metodi al contesto socio-economico delle famiglie che si rivolgevano a lei per l’educazione dei figli: l’obiettivo, in altre parole, sarebbe stato tenerli alla larga da prostituzione, spaccio di droga e dalle cattive compagnie.