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 2025  novembre 24 Lunedì calendario

La confessione di Bisset

Abbiamo tutti l’immagine di Jacqueline Bisset come di un’attrice eterea con un’eleganza naturale e una sofisticata ambiguità, appena uscita da Effetto notte di Truffaut. Si muove con tale leggerezza da spostare l’aria, un po’ sfuggente, donna moderna. Anticonformista. Non si è mai sposata. Effetto Jacqueline.
E poi... Al Torino Film Festival si offre pragmatica, diretta fino alla crudezza, dice «mi sento in chiesa, come se mi stessi confessando». Aggiunge con ironia aspra, quasi come una sfida: «Non ho equilibrio nella mia vita». In due parole, se ne frega del politicamente corretto. Va al sodo, fuori dal coro, come quando dice che «gli uomini possono essere delle bestie e le donne non devono provocarli a tutti i costi, che ciascuno si assuma la propria responsabilità».
Si attirerà un vespaio di polemiche...
«Perché? Il mondo è malato di narcisismo patologico ed esibizionismo a oltranza, amplificato dai social. Mischiato all’insicurezza è un cocktail micidiale. Tante ragazze si atteggiano a star con video casalinghi e si creano fantasie. Vedo tanta disperazione.
Io a Hollywood sono sopravvissuta a situazioni complesse, me la sono cavata».
E il Me Too?
«Ho da sempre un atteggiamento ambivalente. Naturalmente odio ogni forma di abuso e violenza, che esistono dal Ratto delle Sabine. Un no è un no. Ci vuole contegno da entrambe le parti. Dipende molto dall’educazione, mia madre e mia nonna mancavano di alimentazione emotiva, erano donne inadeguate a gestire la vita».
Il magazine «Newsweek» nel ’77 la definì l’attrice più bella di sempre. Lei è contraria alla chirurgia estetica.
«Oggi non voglio parlare di bellezza, è un tema noioso, lo trovo un’indecenza, quando si riceve un dono divino. Invece voglio dire che alcuni miei film indipendenti, quelli di cui sono più fiera, in Italia non sono mai usciti; essere giudicata dai primi film, non così belli, non mi fa piacere».
È qui per «La donna della domenica», girato a Torino.
«Sono passati 50 anni dal film di Luigi Comencini, dal romanzo di Fruttero&Lucentini. Mi disse di recitare in francese per essere più simile alla gestualità italiana. Ma il povero Mastroianni non sapeva cosa dicessi e sussurrava: non ho ancora finito le mie battute. Io morivo di imbarazzo. Sono diversa dal mio personaggio, moglie annoiata di un industriale, non ci avrei mai preso un tè insieme».
In quel film era chic.
«Chic ma non sexy, non riuscivo a sentire il mio corpo. Pregai Luigi: se vuoi che abbia un bell’aspetto non farmi mettere il sale nel cibo sennò mi gonfio. Fecero il contrario, il giorno dopo mi disse: ti trovo diversa. E ti credo...».

Ha mai pensato di diventare regista?
«No, potrei diventare un mostro, l’unico posto in cui lo sono è la cucina di casa mia».
Ha lavorato con Steve McQueen, Trintignant, Frank Sinatra, Orson Welles, Belmondo, Lumet, Monicelli, Cukor. E Paul Newman, che omaggiano al festival.
«Lui era gentile e timido, raccontava barzellette che non riusciva a finire perché attaccava a ridere. Era fissato con gli hamburger, li preparava personalmente, calibrando grasso e carne».
Vanessa Redgrave?
«Una lottatrice nata. In Assassinio sull’Orient Express la produzione voleva ridurre la pausa pranzo a 30 minuti. Noi attori votammo, contrari eravamo solo noi due».
Roman Polanski?
«La settimana prima della strage dove morì sua moglie Sharon Tate, ero stata invitata nella stessa villa e con le stesse persone. Roman in Cul-de-sac per fortuna non mi diede più il ruolo da protagonista, di cui non avevo capito nulla, ma uno più piccolo. Diventai il soggetto delle sue torture».
Cosa fece?
«Disse che dovevo ridere in un certo modo assurdo, puntando su una vocale. Mi sentivo una coniglietta pronta per l’indomani. Arrivò sul set e mi disse: non se ne fa niente. Aveva cambiato idea. Magari ti prepari per mesi e... fu una grande lezione su come si lavora al cinema».
È vero che disse no a «9 settimane e ½»?
«Mi sentivo insicura, non ero pronta ad affrontare quella quantità di nudità. Proposi vestiti erotici al posto delle forme, poi sorsero incomprensioni sulla musica scelta e dissi, non saremo d’accordo su niente.
Non avevo nulla contro Mickey Rourke, solo che non volevo fare l’ennesimo film con un attore più giovane. L’ho trovato in Orchidea selvaggia, creava un’atmosfera frenetica, avevo quasi paura di lui».