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 2025  novembre 24 Lunedì calendario

Soldi alla Sanità, perché non bastano?

Dopo almeno 15 anni di sotto finanziamento della Sanità, nel 2026 il Servizio sanitario nazionale avrà a disposizione 6,3 miliardi in più. È la somma di due Leggi di bilancio: quella del 2025 per 3,9 miliardi, e quella del 2026 per 2,4. Si tratta dell’aumento più alto mai registrato in valore assoluto. Ma basterà? La domanda s’impone perché la situazione sta sfuggendo di mano. Il 10% di italiani oggi rinuncia alle cure per motivi economici, mentre le visite specialistiche (una su due) e gli esami diagnostici (uno su tre) vengono pagati di tasca nostra per oltre 10 miliardi l’anno, a causa delle inaffrontabili liste d’attesa. In un anno ci sono state le dimissioni di 2.000 medici e 2.750 infermieri. I medici di famiglia sono sempre meno, anche perché le loro borse di studio valgono meno della metà di quelle ospedaliere.
Prendiamo allora parametri oggettivi per vedere cosa serve e quanto stanzia la Legge di bilancio.
Partiamo dai conti delle Regioni. Nel 2024 per mantenere gli attuali livelli di assistenza sanitaria le Regioni hanno speso 1,5 miliardi di euro in più rispetto a quanto hanno ricevuto dallo Stato: un buco quasi triplicato rispetto al 2023. Non sono rimaste indenni neanche le Regioni che tradizionalmente garantiscono una buona qualità delle cure mantenendo i conti in equilibrio, come la Toscana, che ha un buco di bilancio per 267,2 milioni, l’Emilia-Romagna per 194,2, il Piemonte per 180,6, la Liguria per 98,3 e l’Umbria per 33,9. La Legge di bilancio 2026 non prevede fondi dedicati, però la revisione al rialzo delle tariffe di rimborso per le prestazioni erogate dagli ospedali, una volta a regime, probabilmente ridurrà lo squilibrio di circa 500 milioni. Quindi all’appello manca ancora 1 miliardo.
Passiamo ora al personale sanitario. Per capire se i soldi stanziati bastano davvero, non ha senso partire dagli stipendi che medici e infermieri mettono in tasca oggi perché scontano i ritardi dei rinnovi contrattuali. Il riferimento corretto sono i fondi già stanziati nelle ultime due Leggi di bilancio. È da lì che arriveranno gli aumenti previsti dai nuovi contratti: quello 2022-2024 per i medici è stato firmato il 19 novembre 2025; e ora si apriranno le trattative per quello del 2025-2027 sia per i medici sia per gli infermieri. Tutti i calcoli si basano su stipendi lordi mensili (13 mensilità), con valori medi e arrotondati. Con il contratto 2022-2024 lo stipendio di un medico con 5-15 anni di anzianità avrà un aumento di 461 euro portando la busta paga a 6.766 euro lordi al mese. Un confronto con i Paesi che continuano ad attrarre professionisti italiani mostra, a parità di potere d’acquisto, che in Germania i medici guadagnano in media il 36% in più, in Belgio il 21%, nel Regno Unito il 18%. Però la Legge di bilancio 2026 aggiunge altri incrementi mensili: 235 euro di indennità medica, più 385 euro legati al rinnovo del contratto 2025-2027 (stima Aran). Con questi aumenti lo stipendio previsto nel 2027 sale a 7.386 euro, circa il 9% in più rispetto a oggi. Ma non è ancora sufficiente a colmare il divario con gli altri Paesi. Basti pensare che solo un ulteriore aumento dell’1% – pari a 74 euro al mese per ciascuno dei 127.344 medici – costa 125 milioni l’anno.
Lo stipendio medio degli infermieri è di 2.500 euro lordi al mese. È uno dei più bassi fra i Paesi Ocse: il 22% in meno rispetto alla media internazionale. Per allinearsi servirebbero 557 euro in più ogni mese. La Legge di bilancio 2026 copre solo una parte di questo gap: 123 euro al mese di indennità infermieristica; 138 euro al mese dal rinnovo del contratto 2025-2027 (sempre secondo le previsioni dell’Aran). In totale fanno 261 euro, cioè meno della metà di quanto servirebbe. Restano scoperti 296 euro al mese per ciascuno dei 277.000 infermieri. L’ammanco complessivo supera il miliardo.
Ma il problema non è solo lo stipendio. Per colmare la carenza di 60.000 infermieri, con un costo pro capite di 50.000 euro annui, sono necessari 3 miliardi di euro. Un piano di assunzioni quadriennale richiederebbe 750 milioni solo nel 2026. La Legge di bilancio stanzia 300 milioni per l’assunzione di 6.000 infermieri. L’ammanco per il primo anno è di 450 milioni.

Le borse di studio per formare i medici di Medicina generale valgono 11.600 euro l’anno, meno della metà di quelle per le specialità ospedaliere (26.000). Uniformare le 2.600 borse richiede 37,4 milioni.
Infine le prestazioni pagate dai cittadini: in un anno spendiamo di tasca nostra 6,9 miliardi per le visite specialistiche e 3,7 miliardi per gli esami diagnostici. Riportare nel Servizio sanitario nazionale anche solo la metà di queste prestazioni richiede 3,2 miliardi. Un costo calcolato applicando le tariffe pubbliche, che sono circa il 40% in meno di quelle private. Per aumentare l’attività dentro il Servizio sanitario, ovviamente, servirebbero anche più medici. La Legge di bilancio stanzia 150 milioni per assumere 900 professionisti. È una quota troppo bassa per sostenere un trasferimento così ampio dal privato al pubblico.
Va poi considerato il Pnrr. Con la fine del Piano sarà necessario trovare un miliardo di euro per l’assistenza sanitaria domiciliare ai non autosufficienti, altrimenti si dovrà tagliare dalle risorse esistenti.
Sommando tutte le voci, in totale al Servizio sanitario nazionale mancano 6,8 miliardi, per colmare la distanza tra il fabbisogno stimato e le risorse effettivamente stanziate. In pratica, sarebbe servito il doppio dei soldi messi.
Tutti questi conti sono stati elaborati da Dataroom a partire da dati ufficiali raccolti, anche in precedenti inchieste, confrontandosi con l’Aran, il sindacato Nursind, l’Osservatorio sui Consumi Privati in Sanità del Cergas-Bocconi e con esperti del settore come Nerina Dirindin (Università di Torino) e Angelo Mastrillo (Università di Bologna). Sappiamo che trovare 6,8 miliardi da un anno all’altro è un’operazione difficile, ma nulla impedisce una programmazione pluriennale che, nell’arco di tre-quattro anni, porti a stanziare davvero le risorse necessarie, accompagnate dalle riforme indispensabili per spenderle bene. Una volontà che al momento non sembra all’orizzonte. E tantomeno quella di utilizzare almeno i soldi disponibili per migliorare l’assistenza ai cittadini.
L’Ufficio parlamentare di bilancio evidenzia come una parte importante delle risorse della manovra finisca a diversi «portatori di interessi». Tra cui: 630 milioni vanno alle aziende farmaceutiche e ai produttori di dispositivi medici per ridurre la quota che avrebbero dovuto restituire allo Stato quando la spesa supera i limiti fissati. In altre parole: Big Pharma deve restituirci dei soldi, ma gli scontiamo 630 milioni; oltre 1 miliardo in tre anni serve ad aumentare le tariffe riconosciute agli ospedali per ricoveri e riabilitazione, e una parte consistente – almeno 300-400 milioni – finirà al settore privato; 123 milioni l’anno vengono assegnati alle strutture private accreditate per aiutare gli ospedali pubblici a smaltire le liste d’attesa. Eppure i dati mostrano che i privati, negli anni, non hanno aumentato le prestazioni in convenzione, ma hanno invece continuato a privilegiare la ben più remunerativa attività a pagamento.