Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2025  novembre 24 Lunedì calendario

Dalle sfide sui social all’arresto in cantina. Alì, «re dei maranza»

Don Alì (il suo vero nome è Said Alì, ndr), l’influencer 24enne arrestato dalla polizia di Torino per atti persecutori nei confronti di un maestro elementare, è diventato popolare sui social un anno fa. Il merito è dei video in cui si improvvisa paladino delle ingiustizie sociali e, aggirandosi per i quartieri della periferia Nord di Torino, maltratta i «colpevoli». All’inizio i filmati erano soltanto «gag costruite», anche gli antagonisti erano «microfonati» e la scenetta si concludeva sempre con un lieto fine.
Con il passare del tempo, però, i contenuti sono diventati sempre più violenti e, un paio di giorni prima della partita di calcio Napoli-Inter, lo scorso maggio, la fama di Don Alì è definitivamente cresciuta. Si era autoproclamato «re dei maranza» e aveva annunciato su TikTok l’imminente «invasione del Sud» in occasione della sfida che avrebbe poi assegnato lo scudetto. Le sue dichiarazioni provocatorie, in cui si mostrava intenzionato a dare «una lezione ai ragazzi del Sud», e l’appello a «invadere Napoli in massa» erano finiti in Parlamento, grazie a un’interrogazione della Lega, ma alla fine non c’era stato nessun raduno e gli appelli erano serviti solo ad accrescere la sua notorietà.
Nato in Marocco, cittadino italiano, Alì ha frequentato l’istituto Lagrange di Torino con discreto profitto. E anche sul ring della palestra di boxe a Madonna di Campagna dove si allenava, ha ottenuto buoni risultati. «Un bravo ragazzo – lo ricorda qualcuno —, ma poi si è montato la testa». Dalla palestra è stato cacciato per i video troppo violenti, sono arrivate le prime denunce e i suoi follower sono cresciuti in maniera esponenziale, fino a toccare quota 339 mila dopo la notizia dell’ultimo arresto.
A cambiare la sua carriera di tiktoker che sfidava le forze dell’ordine e si proponeva come «giustiziere» è stato l’agguato organizzato con due complici (sottoposti a obbligo di firma) il pomeriggio del 21 ottobre. Nel mirino del «Batman di Barriera di Milano» è finito un maestro di una scuola elementare del quartiere dove Alì vive da sempre con la famiglia. Il «re dei maranza» lo ha accusato di aver maltrattato un alunno, lo ha colpito con tre schiaffi e lo ha minacciato: «Se nostro nipote torna a casa con una lacrima non saranno più parole ma fatti, quelli veri». Assicurandogli che sarebbe «sparito dalla faccia della terra».
I video dell’aggressione sono stati pubblicati – senza oscurare i volti dell’insegnante e di sua figlia – su diverse piattaforme, accompagnati dalla didascalia «siamo andati a prendere il maestro pedofilo che abusa bambini a scuola». Le accuse di Don Alì si sono dimostrate infondate e i filmati hanno spinto la Procura ad aprire un’inchiesta e a chiedere la custodia cautelare in carcere.
Ad aggravare la posizione di Don Alì c’è anche l’aggressione alla troupe di Rete 4 che, l’11 novembre, era arrivata sotto casa del 24enne per realizzare un servizio per la trasmissione «Diritto e Rovescio». Il tiktoker, incappucciato e armato di mazza chiodata, ha sfondato il lunotto posteriore e il parabrezza dell’auto della giornalista Erika Antonelli, accompagnata dall’operatore Andrea Grattarola. Un tatuaggio sulla mano ha permesso agli investigatori della Mobile di identificare Alì, che è stato denunciato anche per quell’episodio.
Don Alì, già accusato in passato di rapine e danneggiamento, si è nascosto nelle cantine di un palazzo di Barriera di Milano, ma alla fine è stato individuato. Per il giudice è pericoloso, incapace di controllarsi e «non è in grado di sottostare alle più basilari regole della convivenza civile». Per questo è finito in una cella del carcere Lorusso e Cutugno. Da solo.