Avvenire, 23 novembre 2025
Il dilemma della premier Takaichi: sfidare il tabù maschilista del sumo
La domanda aleggia da tempo. Per la risposta, bisognerà invece aspettare ancora. Almeno fino al torneo di Capodanno a Tokyo. La premier giapponese Sanae Takaichi – la prima donna a ricoprire la carica di primo ministro nella storia del Paese – salirà sul ring di sumo, ovviamente non per combattere ma per premiare i vincitori?
Sfaterà, così, uno dei tabù più resistenti della cultura giapponese, che preclude alle donne di calpestare il dohyô? La domanda l’ha posta il “Japan Times” direttamente al capo di gabinetto del governo nipponico, Minoru Kihara: Takaichi consegnerà la coppa del primo ministro, come avevano fatto in altre occasioni alcuni suoi predecessori, tra cui Shinzo Abe e Shigeru Ishiba, in occasione del Kyushu Grand Sumo Tournament, che si concluderà domani? A “salvare” dall’imbarazzo Takaichi sarà il vertice del G20 in Sudafrica, che terrà il primo ministro lontana da Tokyo. Per la premier il dilemma è, però, solo rimandato alla fine dell’anno, al torneo di Capodanno appunto. Cosa farà Takaichi? «Un tentativo di presentare il trofeo sul ring – sottolinea l’Ap – sarebbe visto come una sfida alle tradizioni del sumo e potrebbe danneggiare la sua immagine agli occhi del suo elettorato». Takaichi non è considerata di certo una femminista. Ha sostenuto i valori paternalistici della famiglia e il mantenimento della successione alla monarchia giapponese aperta solo agli uomini. Si oppone anche alla modifica di una legge del XIX secolo che consentirebbe alle coppie sposate di mantenere cognomi separati. Una cosa è certa. Il dibattito sul tabù continuerà, “incendiato” proprio dalla prima leadership nazionale al femminile. Le origini del sumo sono legate ai rituali dello Shintoismo, la religione indigena giapponese, che affonda le sue radici nell’animismo e nella credenza che migliaia di kami, o spiriti, abitino la natura. I primi incontri di sumo risalgono a 1.500 anni fa, come rituale dedicato ai kami, con preghiere per raccolti abbondanti, danze e altri spettacoli nei santuari. Il dohy, dove si svolge il sumo, è un anello rialzato fatto di argilla speciale, con il bordo segnato da un cerchio di paglia di riso che separa il santuario interno dal mondo esterno dell’impurità. È vietato alle donne nel sumo professionistico. Non si tratta di un’occorrenza solitaria. In Giappone, per secoli, alle donne è stato vietato l’accesso a certe montagne sacre, ai riti di addestramento religioso, ai templi, ai santuari e ai festival.
L’erosione di un sistema fortemente paternalistico e gerarchizzato è stata lenta e solo parziale. Il Paese è costantemente in ritardo in termini di parità di genere. Secondo il World Economic Forum, il Giappone si è classificato al 118° posto su 148 Paesi nel 2025. In politica, la quota di donne nella Camera bassa giapponese, la Camera dei Rappresentanti, è aumentata al 15,7% alle elezioni generali del 2024, ma si trattava comunque della quota più bassa tra i Paesi Ocse. La Camera alta del Parlamento giapponese, la Camera dei Consiglieri, ha una performance leggermente migliore (29,4%), ma presenta anche un persistente squilibrio di genere. Questo squilibrio è visibile in tutta la società giapponese. Le studentesse rappresentano solo circa il 20% delle iscrizioni presso prestigiose università nazionali come l’Università di Tokyo e l’Università di Kyoto.
Spetterà alla premier fare (o non fare) il grande passo. Calpestare il dohyô, infrangere un vecchio (o ostinato) tabù.