Il Messaggero, 23 novembre 2025
«Io, la musica e l’horror un affare di famiglia»
Non è noto a tutti, ma nel mondo della musica per il cinema è un vero gigante. Dal 1975 in poi ha composto quasi un centinaio di colonne sonore negli Anni Settanta anche con Vince Tempera e Franco Bixio per film, fiction e tv movie. Di ogni genere: horror, western e commedia (anche sexy). Successi come Fantozzi, Il secondo tragico Fantozzi, Febbre da cavallo, Zombi, I quattro dell’Apocalisse, Vieni avanti cretino, La mandrakata, Il capitano etc. Oltre che in Italia, è considerato un autore di culto anche all’estero, tanto che Quentin Tarantino ha inserito in Kill Bill – Vol. 1 un suo brano, Sette note in nero, composto nel 1977 per l’omonimo film di Lucio Fulci, il regista mago dell’horror per il quale ha lavorato a lungo formando un sodalizio straordinario. Un autore, morto nel 1996, che lui dal 2013 celebra facendo concerti in giro per il mondo con la sua F2F Orchestra (la sigla sta per Frizzi to Fulci). Lui è Fabio Frizzi, 74 anni, nato a Bologna ma romano da sempre, fratello maggiore dell’indimenticabile Fabrizio (morto nel 2018 a 60 anni) e padre di cinque figli tre maschi e due femmine, da 20 a 46 anni avuti da tre donne diverse. Dopo il concerto del 20 novembre al Forum Studios di Roma con la sua orchestra, stasera allo Spazio Scena sarà protagonista di una masterclass musicata, due appuntamenti inseriti nel programma della 45esima edizione del Fantafestival, rassegna del film di fantascienza e del fantastico.
È vero che all’estero la sua musica e i film di Fulci hanno ancora oggi un grande seguito?
«Sì. Non ci sono mai stato, ma credo che anche in Tibet ci saranno fan del cinema di Lucio. Con questa orchestra suono in tutto il mondo dal 2013, e solo negli Stati Uniti siamo stati in tour dieci volte. La risposta del pubblico è sempre incredibile».
Mai stato sul punto di trasferirsi all’estero?
«Una quindicina di anni fa, sì, ci ho pensato. In America si stava un po’ meglio di adesso e c’erano proposte interessanti, ma ero e sono un family man: ho bisogno della mia casa e di stare con la mia famiglia. Oggi, però, se ricevessi un’offerta per la direzione di un’orchestra stabile, non negli Usa, ci penserei. Ormai i miei ragazzii sono grandi. Una, Federica, vive e lavora nella charity, a Londra, da tanti anni».
Con tutte le cose che ha fatto, poteva raccogliere di più o no?
«Fabrizio mi diceva sempre che meritavo di più, però devo dire che dopo tanti anni i bilanci diventano un po’ più raffinati: a conti fatti posso dire di essere molto soddisfatto di com’è andata. Non mi lamento. Non avrei mai potuto fare un lavoro diverso e ho avuto il vantaggio di essere stato giovane in un’epoca meravigliosa in cui succedeva di tutto. Ho cominciato che non avevo nemmeno 20 anni, e a 22 avevo già scritto le musiche del primo film».
Di quale colonna sonora va più fiero?
«È difficile dirlo. Forse Fantozzi. Fu il primo successo, così capii che avrei potuto vivere con la musica».
È vero che ha fatto anche l’attore?
«In tre film cosiddetti “musicarelli”, con Mal dei Primitives. Nel mondo del cinema devo confessare che entrai perché mio padre (il mitico Fulvio Frizzi, ndr) era il direttore commerciale della Cineriz (la casa di produzione e distribuzione cinematografica di Angelo Rizzoli, che realizzò e portò al successo film di Fellini, Visconti, Rossellini, Antonioni, De Sica, Monicelli, Pontecorvo, ndr), ma recitare non faceva per me».
Oggi che fase sta vivendo?
«Molto divertente. Cinque anni fa nel mio quartiere, la Balduina, ho fondato una scuola, la Octopus Music Factory, che adesso è diventata una solida realtà, gestita soprattutto da mia moglie Francesca, che ci sta dando grandi soddisfazioni. Facciamo suonare anche chi ha una certa età e non l’aveva mai fatto prima. La frequentano giovani e no, sembra una specie di centro sociale. Abbiamo formato una big band e a volte mi tocca anche cantare... (ride, ndr). Quest’estate ci siamo esibiti al festival Jazz & Image».
Lei da due mesi ha anche una rubrica settimanale ai “Fatti vostri”, il programma che fu condotto anche da suo fratello, di cui ha composto la sigla...
«Michele Guardì e gli autori mi hanno chiesto di raccontare ogni lunedì delle storie legate alla musica. Quando tocca a me gli ascolti salgono di un punto...».
Con Fabrizio parlavate mai di Sanremo?
«Certo. Da sempre. è stato uno dei suoi maggiori crucci. La musica italiana la conosceva e l’amava tutta, era amico di tanti artisti, con loro suonava – divertendosi come un pazzo durante le cene dopo gli show. La Rai, però, è strana: lui avrebbe voluto farlo, ma gliel’hanno sempre negato, poi da morto gli hanno dedicato un Sanremo».
È vero che insieme avete prodotto cinque dischi dance?
«Certo. È uno di questi fu decisivo per Jovanotti. Quando nel 1989 io scrissi le musiche della serie di Italia 1 Classe di ferro, e lui cantava la sigla, mi disse che grazie a uno di quei dischi, che realizzammo con Luca De Gennaro, decise di fare il dj e vivere di musica».
All’Ariston tornerebbe?
«Sì. Come direttore d’orchestra ci sono stato una volta con Peppino Gagliardi. Mi chiamò il manager Dino Vitola e fu emozionante. Anche se ci eliminarono. Ricordo che conduceva Pippo Baudo e c’era Lorella Cuccarini come valletta».
La cosa che le è venuta meglio qual è?
«Quando vado in giro per il mondo e la gente mi incontra, e a volte si mette addirittura a piangere, penso sia quella: regalare emozioni».
Sia sincero: il cinema horror le piace o no?
«Insomma... Un bel film per me può essere di qualsiasi genere, quello da culto per me è Blade Runner. Diciamo che quando ci sono momenti di forte tensione io riesco a interpretarli bene».
Lo sfizio da togliersi, oggi, qual è?
«Forse lavorare direttamente con Hollywood, anche se l’ho già fatto con Quentin Tarantino».
È vero che la seconda volta che le ha chiesto un brano ha detto di no?
«Sì. Per Bastardi senza gloria voleva usare la cover di un mio pezzo. Ma era una cover, non potevo...».
Cosa vorrebbe fare prima o poi?
«Comprare un’Harley Davidson, mi è sempre piaciuta da morire. Però se non l’ho fatto finora...».
La prima cosa che oggi direbbe a Fabrizio qual è?
«"Ma non sei un po in ritardo?”. E questo soltanto perché lui era notoriamente un ritardatario. Ricordo quando nel 2014 a Londra, al Barbican, forse il più grande teatro d’Europa, feci un concerto con la mia orchestra. Lui non mi aveva mai visto all’estero ed era ovviamente in ritardo, e lì sono puntualissimi, non si sgarra. Chiamai Fabrizio, in taxi, e lui subito mi disse: “Cinque minuti e sono lì”. Chiesi alla bellissima direttrice di sala di aspettare, non potevo iniziare senza di lui. “Five minutes, no more”, mi rispose. Allo scadere del quinto minuto Fabrizio entrò in sala e venne di corsa dietro il palco, ci abbracciamo, prese posto, e iniziammo. È uno dei ricordi più belli che ho. Quanto mi manca».
Demi Moore nel 1998, dopo aver partecipato a Domenica In, lo invitò a cena fuori, e lui rispose di no perché era sposato: lei che cosa avrebbe fatto?
«Almeno un caffè, un aperitivo, io l’avrei preso (ride, ndr)».
Nel 1999 i difensori la nominarono perito musicale di Al Bano nella causa contro Michael Jackson, accusato di aver copiato la sua “I cigni di Balaka” per realizzare “Will You Be There”. Alla fine il Tribunale decise che entrambi si erano ispirati a classici della musica blues: ha ripetuto esperienze come quella?
«No, ma fu interessante. Fra i periti c’era anche Nicola Piovani e oltre alle inequivocabili somiglianze, ricordo che in quello di Michael Jackson il coro iniziale era stato copiato di sana pianta da un altro disco gospel. L’avevano proprio registrato come l’originale».
Senta, “The best is yet to come”, come cantava Sinatra, o no?
«L’astrologo Paolo Fox dice che mi aspetta un periodo abbastanza positivo a livello astrologico. Io sono del Cancro con un ascendente strano che sta fra Sagittario e Scorpione, quindi creativo. Adesso ho un agente in America che mi ha già organizzato due tour, sono appena stato a Helsinki e Londra, e dopo Roma mi aspetta Bruxelles il 26 febbraio. Insomma, fare il globetrotter non mi dispiacerebbe».