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 2025  novembre 23 Domenica calendario

Governo diviso sul piano "Ci sono punti irricevibili" Ma la Lega: ok immediato

Il piano Trump per l’Ucraina è ancora solo una bozza che circola tra le cancellerie di mezzo mondo. Eppure in Italia è più che sufficiente rimettere a nudo una crepa profonda: da una parte il fronte prudente di Giorgia Meloni, Guido Crosetto e Antonio Tajani, impegnati a bilanciare la fedeltà a Washington con la cruda realtà di una mossa Usa molto squilibrata a favore di Mosca; dall’altra la Lega, che invece alza il volume e considera la bozza americana un’occasione da cogliere al volo. Mentre Meloni è impegnata a non scoprirsi troppo al G20 in Sudafrica, a via Bellerio, infatti, non vedono grossi problemi. Anzi: per i salviniani il documento statunitense è già di per sé una via d’uscita e andrebbe approvato subito. «Fa quello che deve», sussurra Armando Siri, uno dei consiglieri più ascoltati da Matteo Salvini. «Agevola una chiusura rapida del conflitto». Stop. Nessun distinguo, nessuna ipotesi alternativa che possa includere nuove forniture di armi europee. Tanto meno italiane. L’autorizzazione parlamentare che si renderà necessaria il prossimo anno per continuare a supportare Kiev, garantiscono dalla Lega, «semplicemente non ci sarà». Tra i salviniani il ragionamento è cristallino: se gli Usa si sfilano, Kiev crollerà comunque. «Meglio scontenti che sconfitti. In 45 giorni si rischia una débâcle peggiore di un compromesso», è la sintesi di Siri. Per questo quando, in serata, la Lega diffonde una nota che mette nel mirino gli alleati Ue dell’Italia – accusati di voler prolungare «guerra e morte per vendere armi» – non è difficile cogliere anche un altro destinatario: la premier.
La linea dell’esecutivo è infatti molto più cauta. E proprio questa cautela rischia anche di generare imbarazzi con Trump, che Meloni ha difeso e accudito come un alleato naturale. Il punto è il contenuto della proposta americana: se Crosetto si è spinto a definire «dura» la bozza per Kiev («ma è pur sempre un inizio», ha aggiunto), dentro il governo c’è chi non usa giri di parole e considera alcuni passaggi semplicemente «assurdi». In particolare il limite fissato a 600 mila soldati arruolabili dall’Ucraina e la rinuncia secca a Crimea, Luhansk e Donetsk. A Palazzo Chigi faticano a immaginare una trattativa in cui Volodymyr Zelensky accetti di cedere territori difesi al costo di centinaia di migliaia di vite. Ed è proprio su questo punto che l’Europa proverà ad agire nelle prossime ore, mentre gli emissari continentali si ritrovano a Ginevra per intavolare un dialogo con gli Stati Uniti. Per l’Italia ci sarà il consigliere diplomatico di Meloni, Fabrizio Saggio. L’ambizione? Dopo averlo lusingato per essere riuscito a riaprire la trattativa per il cessate il fuoco e per una pace duratura, spiegare a Trump che quest’ultima per essere sostenibile non può premiare Vladimir Putin. «Anche Mosca deve rinunciare a qualcosa», ragiona una fonte ai vertici del governo. E soprattutto – è la frase che circola tra Difesa, Esteri e Palazzo Chigi – «non può esistere una pace tra Ucraina e Russia in cui ci guadagnano gli Stati Uniti». All’interno dell’intesa Trump si è infatti garantito non solo «un risarcimento» per le garanzie di sicurezza che metterà sul tavolo, ma anche «il 50 per cento dei benefici» che deriveranno dai 100 miliardi di dollari di beni russi congelati che – secondo il piano – dovrebbe essere investiti in progetti guidati dagli Stati Uniti per ricostruire in Ucraina. Una linea sottile su cui muoversi, considerati i rapporti strettissimi che oggi legano Roma a Washington.
La consapevolezza attraversa anche l’opposizione. Che da una parte chiede di non avallare alcuna «capitolazione», dall’altra fatica a mostrarsi compatta proprio nel giorno del corteo pro-Ucraina che partirà dall’Esquilino alle tre del pomeriggio. In piazza ci sarà l’ex presidente della Camera Pierferdinando Casini, secondo cui quello che circola è «un testo vergognoso per l’Occidente». Con lui Carlo Calenda di Azione, vari dirigenti del Partito democratico e di Azione, Riccardo Magi di +Europa, una porzione dell’area liberal-progressista. Ma non tutti. Alleanza Verdi e Sinistra di Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli ha scelto di non esserci. Così come Giuseppe Conte, che non intende accodarsi a un fronte giudicato troppo allineato alle posizioni del governo ucraino e poco filo-russo.