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 2025  novembre 23 Domenica calendario

E dal mito Wagner creò Lohengrin: il racconto di Corrado Augias

Le cose andarono così. Nell’estate del 1845, quando aveva poco più di trent’anni, Richard Wagner si trovava nella stazione termale di Marienbad per un periodo di riposo dato il forte esaurimento nervoso di cui soffriva per il sovraccarico di lavoro cui s’era sottoposto. Come compagnia aveva portato con sé i poemi di Wolfram von Eschenbach e l’antica epopea tedesca di Lohengrin. Passeggiava nei boschi, prendeva doverosamente i bagni prescritti – e leggeva. Ma a mano a mano che proseguiva nella lettura di quelle storie «un’eccitazione via via crescente s’impadroniva di me». Finché un giorno mentre era sul punto di prendere il suo bagno di mezzogiorno, come scriverà più tardi: «Fui sopraffatto da un’ansia così forte di affidare alla carta il mio Lohengrin che, incapace di restare nel bagno un’ora, com’era prescritto, ne balzai fuori impaziente dopo pochi minuti e senza finire di vestirmi mi precipitai come un pazzo nel mio alloggio». È in questo stato d’urgenza che, in capo a pochi giorni, il maestro mette giù un completo piano scenico per la sua nuova opera. Rientrato a Dresda, Wagner lesse quella prima versione del libretto (per così dire) ad alcuni amici tra i quali Robert Schumann (di soli tre anni più anziano) che obiettò subito di non capire come quel “piano scenico” avrebbe potuto diventare un’opera lirica con i suoi “numeri” e i suoi vincoli.
 
Lohengrin nacque così, tra il 1846 e il 1848, anno fatale in Europa, Italia e Germania comprese. Wagner prese parte ai tumulti scoppiati a Dresda, salì sulle barricate, nel maggio 1849 venne condannato a morte, dovette fortunosamente trovare riparo in Svizzera. Qui entra in scena un altro gigante della musica, Franz Liszt, grande virtuoso e animo nobile. È lui che si prende cura di far rappresentare la nuova opera al Grande Teatro di Corte di Weimar, il mercoledì 28 agosto 1850, giorno del centunesimo anniversario della nascita di Goethe. Wagner non è presente, deve limitarsi a dare a Liszt indicazioni per alcuni tagli che intende apportare alla partitura. Rimettere piede in uno stato tedesco avrebbe significato rischiare la fucilazione.
Queste, in estrema sintesi, le vicende esterne. Ma che opera è Lohengrin? Intanto cominciamo col dire che il suo organico vocale è ridotto, sei personaggi in tutto, due coppie, una di tenore e soprano, una di baritono e soprano. Completano il sestetto due bassi, il re Heinrich der Vogler, Enrico l’uccellatore (da non sottovalutare). Poi c’è un araldo. Si potrebbe pensare, data questa distribuzione, a uno schema consueto: un soprano di grande virtù (Elsa), un tenore dal nobile animo (Lohengrin) più un altro soprano di grande perfidia (Ortrude) e un baritono (Telramund) che non sarebbe malvagio di natura ma è facilmente influenzabile dalla malvagità di Ortrude, moglie e complice.
Siamo insomma di fronte a uno di quei foschi drammi medievali dove s’intrecciano le opposte corde della virtù e del tradimento, della lealtà e della perfidia. Lohengrin però non può essere ridotto a questo, con ogni rispetto per la genialità di Giuseppe Verdi, Lohengrin non è Il trovatore, né sarebbe possibile ridurre questo lavoro ai consueti meccanismi melodrammatici. Qui in realtà sono presenti due registri, quello con connotati storici e quello, prevalente, che si rifà al mito.
Quello storico è impersonato soprattutto dal re tedesco Enrico l’uccellatore. Il re si reca nel Brabante, convoca il nobile Friedrich von Telramund per chiedergli come mai i brabantini siano rimasti senza un capo e in lotta tra di loro. Questo re, fondatore della casa imperiale di Sassonia, si presenta insomma come un difensore dei diritti tedeschi, sostenitore dell’unità della Germania. Non è un personaggio da operetta ma un protagonista della storia tedesca e come tale Wagner lo inserisce nell’opera anche se con funzioni limitate. Quando lo incontriamo all’apertura della storia, il re incita i brabantini a prendere le armi contro la minaccia degli ungheresi. Molto presto però nella vicenda s’innesta il mito che cambia notevolmente le carte. Compare Elsa, figlia del duca di Brabante, la quale ricorda d’aver avuto un giorno la visione d’un cavaliere che le dava conforto dalle sue traversie. Elsa, convocata dal re, chiama in causa il misterioso cavaliere al quale promette la sua mano. L’araldo dà l’annuncio e sulla acque della Schelda ecco apparire Lohengrin rivestito da un’armatura argentea a bordo di un vascello trainato da un cigno.
Non voglio riproporre qui l’intera trama dell’opera che del resto, chiarite alcune premesse, scorre via senza grandi difficoltà, compresi i patti violati, i tradimenti, le perfidie, il drammatico finale. Aggiungo solo che quest’opera segna un po’ il passaggio dal primo al secondo Wagner, trova la sua bellezza certo nelle vicende ma soprattutto nella sua costruzione musicale. C’è subito il preludio di struggente bellezza, 75 battute dove Wagner tocca il massimo risultato espressivo in questa fase della sua maturazione. Il terzo atto si apre con la famosa marcia nuziale che accompagna le nozze tra Elsa e Lohengrin. Brevi nozze purtroppo, interrotte da zuffe, duelli, Lohengrin che uccide Telramund, e quando Elsa, violando la promessa della discrezione, gli chiede di rivelarle finalmente come si chiami e chi egli sia, Lohengrin è costretto ad allontanarsi per sempre, perché lui è il figlio di Parsifal, capo dei custodi del Santo Graal, sceso sulla terra per portare pace a condizione però di restare in incognito. Seguono altri prodigi che qui ometto. Non però il finale: Elsa ritrova finalmente suo fratello Goffredo che assumerà il governo del Brabante; Lohengrin s’allontana per sempre, Elsa grida «Mio sposo!» e cade senza vita.
La felicità di quest’opera risiede anche nel prevalere del canto (canto wagneriano, beninteso) sulla parte propriamente strumentale, nella bellezza di alcuni temi, nell’intensità delle passioni. Gli eventi sono intricati, possono perfino rimandare a un melodramma ma il maestro fa qui la prova generale, se posso esprimermi così, di quella ricerca dell’interiorità che esploderà con il successivo Tristano e Isotta. Tra l’altro la prima rappresentazione del Lohengrin (Bologna, 1° novembre 1871) aprirà la famosa questione Verdi-Wagner destinata a segnare anche il futuro del melodramma italiano.