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 2025  novembre 23 Domenica calendario

Bolsonaro finisce in carcere: «Manomessa la cavigliera, stava provando a fuggire»

Lo sono andati a prendere alle sei del mattino con cinque auto dai vetri oscurati. «Senza manette e senza esposizione ai media», come ordinato dal giudice della Corte Suprema Alexandre de Moraes. L’ex presidente del Brasile Jair Bolsonaro «singhiozzava, ma era calmo», raccontano i testimoni, mentre gli agenti lo prelevavano dal suo appartamento a Brasilia, dove si trovava dal 4 agosto agli arresti domiciliari, per trasferirlo «in uno spazio con un letto, un bagno privato e un tavolo» in un centro di detenzione speciale della Polizia federale.
La notizia della custodia cautelare di Bolsonaro, condannato lo scorso settembre a 27 anni e 3 mesi di carcere per tentato golpe e altri gravi reati, è arrivata proprio nel giorno in cui la diplomazia brasiliana, a quasi 2.000 chilometri di distanza, chiudeva a Belém la Conferenza dell’Onu sul clima. L’ex presidente di estrema destra ha rubato ancora una volta la scena al governo Lula, anche se forse progettava un finale diverso. Secondo gli inquirenti, voleva raggiungere l’ambasciata Usa per chiedere asilo politico, dopo aver manomesso nella notte la cavigliera elettronica che indossava dallo scorso luglio e approfittando di una veglia di preghiera organizzata dal figlio, il senatore Flavio Bolsonaro, per la serata di ieri davanti al suo condominio. L’ex presidente ha ammesso di aver cercato di aprire la cavigliera «con un saldatore».
L’«arresto preventivo», si legge nella motivazione, «è giustificato dalla necessità di garantire l’ordine pubblico», alla luce della manifestazione, ma avrebbe evitato anche il «rischio di fuga»: «Il condominio dell’imputato si trova a 13 chilometri dalla sede dell’ambasciata degli Stati Uniti, distanza che può essere percorsa in circa 15 minuti di auto», ha sottolineato Moraes, giudice istruttore del processo contro l’ex presidente.
Gli avvocati di Bolsonaro, che compirà 71 anni a marzo, hanno preannunciato «opportune azioni legali». Venerdì avevano chiesto che il loro assistito potesse scontare la pena ai domiciliari, a causa dell’età avanzata e dei problemi di salute. Richiesta subito respinta, così come era stato respinto il primo ricorso contro la sentenza di condanna. Il governatore Tarcísio de Freitas, probabile candidato delle destre alle presidenziali del 2026, ha affermato che l’«irresponsabile» decisione di Moraes «viola il principio della dignità umana» mentre l’ex first lady Michelle Bolsonaro s’affida «alla giustizia di Dio».
Il Trump dei Tropici è stato condannato dalla Corte Suprema del Brasile per i reati di tentato golpe, criminalità organizzata, abolizione violenta dello Stato di diritto, danneggiamento aggravato e deterioramento del patrimonio storico. Giudicati colpevoli anche sette collaboratori.
Mai prima d’ora il Brasile, uscito da una ventennale e feroce dittatura appena quarant’anni fa, aveva portato alla sbarra un leader con l’accusa di colpo di Stato. Il Grande accusatore Moraes ha paragonato l’ex presidente a un capomafia e ha affermato che «non c’è alcun dubbio» che l’ex presidente sia stato la mente e la guida del complotto organizzato ancor prima di perdere le presidenziali del 2022 contro il rivale di sinistra, Luiz Inácio Lula da Silva, arrivando perfino a pianificare il suo omicidio, oltre a quello del suo vice e dello stesso de Moraes.
Un complotto culminato nell’assalto della folla bolsonarista ai palazzi istituzionali di Brasilia, l’8 gennaio 2023, sette giorni dopo l’insediamento di Lula.
Gli alleati politici del leader di estrema destra stanno lavorando per far passare una amnistia al Congresso, aiutati anche dalle forti pressioni di Donald Trump, che ha criticato aspramente la condanna di Bolsonaro. «È quello che hanno cercato di fare con me senza riuscirci», ha commentato a settembre il presidente americano che ha colpito il Brasile con dazi record del 50% (nei giorni scorsi revocati su alcuni prodotti) in rappresaglia per quella che ha definito una «caccia alle streghe».
In un’intervista al Corriere, a ottobre, Lula ha ribadito di non avere intenzione di concedere la grazia al suo predecessore: «Servirà da esempio affinché nessuno osi più attentare contro lo Stato democratico di diritto in Brasile».