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 2025  novembre 23 Domenica calendario

Mini compromesso, chiude la Cop30

L’elefantiaca Conferenza sul cambiamento climatico di Belém si è chiusa ieri, con il consueto strascico di distinguo e polemiche, partorendo un topolino, che tiene però in vita il multilateralismo delle Nazioni Unite. La «Global Mutirão Decision», approvata per consenso, è un testo di compromesso che conferma il cammino fatto finora nella lotta al riscaldamento climatico – dal limite di 1.5° di riscaldamento globale all’obbligo dei Paesi sviluppati di aiutare i più poveri – ma fallisce il traguardo di una «road map» per l’uscita dai combustibili fossili, come aveva chiesto il presidente brasiliano Lula, aprendo i lavori due settimane fa.
Se l’obiettivo era dimostrare che il mondo va avanti anche senza gli Stati Uniti, che a gennaio usciranno definitivamente dall’Accordo di Parigi, l’Onu può dirsi soddisfatta: gli altri 167 firmatari sono ancora lì, dopo 10 anni, a discutere di clima, seppure divisi. «Siamo ben lontani da ciò che la scienza richiede, ma in un momento in cui il multilateralismo è messo alla prova, è significativo che i Paesi continuino a procedere insieme», ha detto l’ex presidente irlandese Mary Robinson. «Almeno l’accordo va nella giusta direzione», ha confermato il commissario europeo per il Clima, Wopke Hoekstra.
Se, invece, l’obiettivo era fare passi avanti concreti per curare la «febbre della Terra», il risultato è assai deludente. Non c’è una tabella di marcia collettiva per eliminare i combustibili fossili – e di questo il Brasile deve «ringraziare» i suoi alleati del gruppo dei Brics, sauditi e russi in testa – o per porre fine alla deforestazione. Si va avanti a piccoli passi. C’è l’accordo sulla necessità di «sforzarsi» per triplicare gli aiuti per l’adattamento nei Paesi in via di sviluppo (fino a 120 miliardi di dollari, all’interno dei 300 già promessi nel 2024). La Cina ottiene un «dialogo triennale» sulle barriere commerciali, ovvero sulla tassa sulla CO2 alle frontiere della Ue. Si parla di «giusta transizione» e di «sforzi volontari» per «accelerare» il taglio delle emissioni, cooperazione e investimenti. Nessun accenno, però, alla transizione dai combustibili fossili, che non sono neppure citati se non con un riferimento indiretto all’accordo del 2023 alla Cop di Dubai.
Altri tempi, diversa situazione geopolitica. Pur di non far deragliare i negoziati, si è preferito il bicchiere mezzo vuoto (o pieno?), nonostante le pressioni di oltre 80 nazioni a fare di più. Il sornione presidente brasiliano della Cop30, André Correa do Lago, ha promesso che si occuperà di deforestazione e fossili in extra-time. Per dimostrare, forse, che si guarda avanti, anche senza gli Usa e altri produttori di petrolio e gas. D’altronde, anche il Brasile presto trivellerà per cercare l’oro nero, alla foce del Rio delle Amazzoni.