Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2025  novembre 21 Venerdì calendario

«Senza Eco mi sentii smarrita. Per Coelho io sono la “Beata”. La fragilità di mio fratello Vittorio? Ci ho sofferto, ma lo amo di più»

Elisabetta Sgarbi, il 23 novembre La nave di Teseo compie 10 anni. Come li festeggerete?
«Con una nuova collana di classici dimenticati, L’Airone, diretta da Cody Franchetti».

Il vostro obiettivo era di pubblicare nel 2016 venticinque novità e 25 libri di catalogo. Oggi quanti sono?
«Oltre mille titoli
, con il catalogo completo di Eco, Veronesi, Houellebecq, Coelho, de Carlo, Markaris, Sgarbi, Covacich, Comisso, Highsmith, Nesi, Gurnah, Ben Jelloun, Cunningham, Musso, Dicker... E 30 di Scerbanenco. Tutti autori dal catalogo molto profondo».
Si era dimessa da Bompiani 20 giorni dopo la morte di sua madre. Fece in tempo ad avvisarla?
«Sì certo. Mi disse che se volevo farlo, dovevo farlo».
E suo padre?
«Si affezionò subito all’idea della Nave e iniziò a elaborare metafore marinare: il “diritto al mugugno” diventò il nome di una chat di gruppo con Sandro Veronesi».
Suo fratello cosa disse?
«Vittorio era piuttosto spaventato e non so quanto d’accordo. Ma disse che sarebbe stato con me. E che tra i nostri autori ci sia anche lui mi rende particolarmente orgogliosa, perché ritengo la sua prosa un prodigio».
A marzo del 2016 l’Antitrust impose a Mondadori di cedere Bompiani, poi acquistata da Giunti editore. Tentò comunque di comprarla?
«Offrimmo, con uno sforzo enorme, 15 milioni e mezzo di euro. Ma se non ricordo male fu venduta a 16. Ero accecata dalla “furia amorosa”, era evidente che fosse un’impresa troppo complicata».
Oggi cosa prova quando legge il marchio Bompiani?
«Una piccola vertigine. È come se lì dentro ci fosse una parte di me».
Ha più avuto modo di parlare con Marina Berlusconi? Si era parlato di «incompatibilità» tra di voi.
«Non ho mai parlato io di “incompatibilità”, ci chiarimmo quasi subito. Ci scriviamo con una certa frequenza, anche nei momenti brutti. Ci stimiamo molto. E sta facendo un lavoro importante in Mondadori. Prima del Covid avevamo anche parlato di progetti per la scolastica».
In questi 10 anni ha pubblicato 5 Premi Pulitzer prima che gli autori lo vincessero.
«Aggiungerei i Premi Goncourt e i National Book Award. I premi aiutano, ma pubblicare gli autori prima che vengano premiati è la prova della fede dell’editore nella buona letteratura».
Tra i suoi, ci sono anche dei Nobel. Anche loro scelti prima della proclamazione?
«Jon Fosse lo pubblicavamo dal 2017. Gurnah lo rincorrevamo da tempo, nella ricerca della migliore letteratura africana. E fu Enrico Ghezzi, mio maestro e amico geniale, a farmi leggere tanti anni fa Satantango di Krasznahorkai, da cui fu tratto il capolavoro di Bela Tarr. Lo portai alla Bompiani con molta fatica».
Parlare della Nave di Teseo significa ricordare chi non c’è più: Umberto Eco, Furio Colombo, Sergio Claudio Perroni, Nuccio Ordine, Jean-Claude Fasquelle e sua moglie Nicky. Erano tra i fondatori. Chi ha preso il loro posto?
«Stefano Eco, figlio di Umberto, è diventato vicepresidente della casa editrice. Julien, il nipote di Jean Claude e Nicki Fasquelle, è in consiglio di amministrazione. Sergio Perroni è la ferita più dolorosa: il suo gesto rimane incomprensibile, e continua a interrogarmi. Per lui parla Cettina Caliò, sua moglie e poeta. Nuccio Ordine e Furio Colombo mi mancano molto».
In questi 10 anni qual è stato il giorno più brutto?
«Forse la morte di Eco. Mi sentii smarrita. Ma reagimmo. E poi la morte di Sergio Perroni».
Alcuni autori hanno lasciato La nave di Teseo. Quanto c’è rimasta male?

«Io ci rimango sempre malissimo. Chiudo i rapporti per sempre, come fosse qualcosa che riguarda me, personalmente. Qui forse sbaglio, ma non ci posso fare nulla. È come una relazione amorosa».

Che rapporto ha con Joel Dicker e Paulo Coelho?
«Direi unico. A Francoforte ogni anno vedo Monica Antunes, agente di Paulo, per una cena: stesso giorno, il martedì della fiera, stesso ristorante da trent’anni. A Paulo ogni Natale, e per il compleanno, regalo lo stesso maglione nero, di cachemire, a girocollo».
E Dicker?
«Con Joel condividiamo un progetto bellissimo: guidare due case editrici indipendenti. Oltre a un’amicizia profonda, c’è la correttezza professionale: per Dicker l’Italia è il primo Paese per vendite, dopo la Francia. E l’Alchimista di Coelho, dopo 30 anni, continua a vendere circa 45.000 copie l’anno».
Gli autori di cosa si lamentano di più?
«Di non trovare i libri. Difficile spiegare che quando il mercato perde in due anni oltre cinque punti percentuali, vuol dire che i librai e le catene prendono meno copie e rischiano molto meno. Ma editore e autore devono credere ciecamente che quel singolo libro sia una eccezione. Se no, meglio cambiare mestiere».
Il gesto più inatteso?
«Quando Paulo Coelho decise di chiamarmi “Beata”. Da allora, inizia le mail con “Dear Beata”. E mi strappa una sorriso vero. L’origine fu una mia follia che lui interpretò come una benedizione: da giovane editor, nel 1995, convinsi il direttore commerciale della Bompiani, Martelli, a partire con una prima tiratura di 50.000 copie per L’Alchimista. Coelho ai tempi era uno sconosciuto autore brasiliano. La settimana dopo ne ristampammo 100.000».
Il più riconoscente?
«Edoardo Nesi. Ma forse perché è il più esplicito. Però essere espliciti negli affetti è una cosa bella, direbbe lui. E, poi, in assoluto, il poeta Enrico Marià».
Quando siete nati, Francesco Merlo su Repubblica scrisse che «l’editoria è il modo più elegante per dissipare i propri risparmi, magari in modo lento, ma sicuro». Aveva ragione?
«No. Il mondo dei libri esercita un potere magico e reale, e quel potere è anche valore. Non si possono valutare le case editrici come una normale azienda, moltiplicando per 7 l’ebitda. I libri sono una promessa di eternità, e questo è un tesoro vero».
«Affari italiani» ha scritto che La nave di Teseo ha chiuso il 2024 con una perdita di 2,8 milioni, determinata dalla svalutazione di oltre 2,9 milioni sulla controllata Baldini & Castoldi. È stato saggio acquistarla nel 2017?
«La nave di Teseo ha visto salire i ricavi anno su anno da 18,2 milioni a 22,4 milioni. I ricavi e l’ebitda sono in netta crescita, anche per la Baldini. Ne rivendichiamo l’acquisto, perché ha ottimi autori, un buon catalogo, e due marchi gloriosi come Linus e la Tartaruga. E, comunque, abbiamo sempre gentilmente detto di no alle offerte di acquisto».
Lei entrò nel mondo nell’editoria da farmacista. Durante il primo colloquio con Mario Andreose, in Bompiani, lo sfidò dicendo che il giubbotto che indossava lei costava quanto lo stipendio che le stava offrendo lui. Voleva essere scartata?
«Sì, anche se forse non così lucidamente. Ma certo non volevo venire via da Ro Ferrarese. Poi la proposta di Mario era davvero molto bassa.
Lui è sempre stato un ottimo dirigente editoriale. Ma pensava che mi sarei lasciata sedurre dai suoi begli occhi azzurri?».
Chi disegnò il simbolo della Nave di Teseo? Due legni arcuati e all’insù.
«Un vascello, ma anche un sorriso. Fu Francesco Messina. Poi Pierluigi Cerri lo adattò alla grafica e alla tipografia della nuova casa editrice».
Il nome alternativo era Zio Val, da Valentino Bompiani. Ma anche Cyrano, Caratteri Mobili, Renzo e Lucia, e Garamond Vasa, che però rischiava di diventare il Vasa da notte. Come cadde la scelta sulla Nave di Plutarco?
«Dimentica “Flore”, perché la Nave nasce al Flore, a Parigi, quando con Eugenio Lio andammo a incontrare Jean Claude e Nicki Fasquelle, eravamo agli inizi. E poi “Alamo”, di cui Eco disegnò anche il logo, ma Jean Claude Fasquelle gli ricordò che nel fortino di Alamo erano morti tutti. La nave di Teseo fu una folgorazione di Eco: ci raggiunse al bar tutto pimpante, con il brano di Plutarco. Scelta obbligata. Cambiare restando se stessi».
Il 28 novembre riceverà il Premio Manzoni – Città di Lecco. Si è emozionata quando glielo hanno annunciato?
«Ho pensato che si fossero sbagliati, visto l’albo d’oro dei premiati. Non è un premio a me, comunque, ma agli scrittori che La nave di Teseo pubblica, in primis a Umberto Eco che lo aveva ricevuto nella prima edizione. E poi a tutti coloro che lavorano con me».

Come ha vissuto questi mesi di grande fragilità di suo fratello Vittorio?
«Soffrendo molto. Di fronte alle fragilità di una persona amata si soffre, ma si ama un po’ di più».