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 2025  novembre 21 Venerdì calendario

Caccia, etica e rischi. Il 94% degli italiani vorrebbe più limiti

L’opinione pubblica è contraria alla caccia. E, soprattutto, all’estensione della stessa. Lo confermano due sondaggi commissionati dalla Fondazione Capellino, proprietaria del marchio Almo Nature, secondo cui l’85% degli italiani ritiene che comporti rischi per la sicurezza. Non solo: il 78% la considera eticamente inaccettabile, mentre il 94% ritiene a vario titolo che vada abolita, fortemente limitata o regolata strettamente.

Fondazione Capellino, pur a capo di un’azienda che produce pet food e che avrebbe tutto l’interesse nello stare dalla parte dei cacciatori – tutti proprietari di cani —, ha deciso di schierarsi contro il disegno di legge 1552, depositato al Senato con le firme dei capigruppo di maggioranza (Malan, Gasparri, Romeo e Salvitti), che prevede un allargamento delle maglie nella regolamentazione dell’attività venatoria, estendendo i calendari e le aree in cui sarà praticabile e aumentando il numero di specie cacciabili. E ridimensionando il ruolo tecnico dell’Ispra a favore di un comitato faunistico con forte connotazione politica.
I due sondaggi, condotti da Ipsos e da Istituto Piepoli, sono stati realizzati a ottobre. Rientrano nell’ambito di una campagna di sensibilizzazione avviata da Capellino che ha anche diffuso sul web e in tv un toccante spot in cui un cane pone la zampa sul braccio del suo padrone cacciatore e salva così la vita di un cervo. L’iniziativa, accompagnata dallo slogan «Nulla giustifica la caccia», ha sollevato forti critiche da parte delle associazioni venatorie.
I risultati dei due sondaggi sono stati trasmessi a tutti i parlamentari. «Non vogliamo abolire la caccia – precisa Pier Giovanni Capellino, presidente della Fondazione —, ma impedire l’introduzione di nuove disposizioni che amplierebbero i diritti dei cacciatori contro il volere della maggioranza dei cittadini».
Il ddl 1552 è ora fermo in commissione. In un primo tempo si era ipotizzato un intervento diretto del governo, poi si è optato per un percorso legislativo tradizionale per la difficoltà di giustificare la decretazione d’urgenza per la revisione di una legge che è in vigore dal 1992.