Corriere della Sera, 21 novembre 2025
I militari, le mappe, i monitor. Dentro la base in Israele che gestisce la tregua a Gaza
Entrare al Cmcc, il centro di coordinamento per il piano di pace a Gaza a guida statunitense, significa varcare la soglia di un ex magazzino commerciale a Kiryat Gat, cittadina industriale a 21 chilometri a nord-est di Gaza. Il sapore è quello di un caotico hub per start up, la memoria i comandi integrati in Afghanistan e la realtà una distopia che vede la guerra per il controllo della Striscia combattuta lontano dal campo mentre i civili restano sul terreno a pagarne le conseguenze.
Militari, ingegneri contractor ma anche diplomatici, agenti dell’intelligence. Il Cmcc occupa i primi tre piani di un edificio alla periferia di Kyriat Gat. Il primo è riservato a Israele e il terzo agli Stati Uniti. Al piano intermedio, quello mostrato alla stampa, su un prato verde di erba sintetica vari gruppi di lavoro dei diversi Paesi tengono riunioni. Un tabellone scritto a pennarello recita «cosa possiamo fare». Gli schermi con mappe, video e grafici sugli aiuti umanitari e sugli attacchi vengono ignorati un po’ da tutti. Il territorio di Hamas è contrassegnato in rosso, il colore militare universale del nemico. Il verde dietro la yellow line indica la zona sicura.
Più a sinistra, una grande mappa di Gaza stesa per terra viene usata per simulazioni e war games come in un enorme Risiko. All’improvviso, un applauso si alza dalla zona riservata a soldati dell’Idf che le regole di ingaggio vietano di mostrare in volto. Il Cmcc è stato istituito il 17 ottobre come «principale centro di coordinamento» per «sostenere gli sforzi di stabilizzazione» a Gaza, in seguito alla dichiarazione firmata a Sharm el-Sheikh da Trump e dalle controparti turca, qatariota ed egiziana. Da allora da Kiryat Gat sono passati in visita il vicepresidente degli Stati Uniti JD Vance con l’inviato speciale degli Stati Uniti Steve Witkoff e il genero consigliere Jared Kushner.
La missione ufficiale è contribuire al monitoraggio del fragile cessate il fuoco tra Israele e Hamas a Gaza. Ma anche elaborare piani ambiziosi per il futuro postbellico dell’enclave, in linea con la proposta di pace del presidente Trump i cui 20 punti campeggiano stampati su enormi cartelloni, nemmeno fossero le tavole di Mosè.
Per il momento la priorità – spiegano fonti del Cmcc – è favorire l’ingresso degli aiuti. Un compito reso possibile ancora in collaborazione con il Cogat (l’agenzia del governo israeliano responsabile dei Territori occupati) ma sempre di più sotto controllo del Cmcc che è riuscito a riportare i numeri dei tir a 4.000 alla settimana. Poi la creazione delle «alternative safe communities», ossia comunità abitative sicure nella green zone, previa la rimozione dei detriti e di bonifica degli ordigni inesplosi. Ma anche la gestione dei rifiuti e ancora prima dell’acqua. Molti degli ufficiali del Cmcc sono nell’esercito da due decenni e hanno servito sia in Iraq che in Afghanistan. Nonostante ciò, analisti e osservatori avvertono del pericolo che poco sia stato imparato da quei fallimenti nella gestione postbellica. La cosa che più risalta agli occhi è l’assenza al Cmcc di una rappresentanza palestinese formale, scelta che ha suscitato critiche da parte di alcuni diplomatici e operatori umanitari, secondo i quali una visione esterna per Gaza difficilmente funzionerà se i palestinesi non avranno voce in capitolo.
Lunedì, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha approvato una risoluzione che approva la seconda fase del piano di pace di Trump e chiede l’intervento di una Forza internazionale di stabilizzazione per entrare, smilitarizzare e governare Gaza. Ma ad un mese dall’avvio delle attività dell’hub non è chiaro se siano stati fatti grandi progressi. E le tavole del piano Trump per il momento restano lì in bella vista al secondo piano del palazzone di Kiryat Gat mentre un nutrito gruppo di personale si avvia verso la mensa per il pranzo.