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 2025  novembre 20 Giovedì calendario

Bimbi nel mirino, i racconti dell’orrore Quanti misteri dal Belgio alla Romania

Non c’è stata solo Sarajevo. «È almeno dal 1981 che sento parlare di queste storie, dai tempi del Salvador…» rivela un ex funzionario di un importante ente umanitario. La Bosnia, il Sudamerica delle dittature, il Libano. I conflitti attirano gli sniper tourist, i “cecchini turisti” disposti a pagare per sparare a chiunque, bambini compresi. «È un’espressione che ho sentito per la prima volta a Beirut, dove avevamo osservato lo stesso fenomeno lungo la “linea verde”» dichiarò John Jordan, il pompiere americano che servì a Sarajevo e che descrisse davanti al Tribunale dell’Aja quegli stranieri venuti a centrare bersagli umani.
Da un’aula di giustizia all’altra, le testimonianze fanno pensare che l’abisso sia persino più profondo. Belgio, 1996. Marc Dutroux, il “mostro di Marcinelle”, viene arrestato dalla polizia. Le indagini portano alla luce una vicenda agghiacciante: nel corso di una decina d’anni, l’uomo ha sequestrato e seviziato 6 ragazze tra i 9 e i 19 anni. Quattro di loro sono morte, le altre due sono rimaste traumatizzate per sempre. Il Belgio è sconvolto, anche perché emergono oscuri legami con una vasta rete di pedofili, cui però non si arriverà mai. «Nessuna prova», secondo i giudici. Ma più di un investigatore e vari giornalisti illuminarono vaste zone d’ombra, tra connivenze e complicità anche di alto livello. Alcune testimonianze rivelarono un orrore inimmaginabile, faticoso da affrontare persino per i poliziotti. Come le “cacce alla volpe”, che Dutroux avrebbe organizzato a beneficio di ricchi clienti. Solo che le “volpi” erano bambini. A descrivere queste “battute” furono alcuni testimoni coperti da una X per motivi di sicurezza. Una di loro, denominata X1, mise a verbale tra il ’96 e il ’97 la descrizione di festini con politici, magistrati e uomini d’affari. Ma parlò anche di abusi sessuali di gruppo e, appunto di “giochi” sadici: alcuni bambini sarebbero stati rapiti e poi liberati in tenute private, per permettere ai partecipanti di lanciarsi al loro inseguimento, con esiti talvolta cruenti. Le parole di X1 risultano nei fascicoli della magistratura belga: a un certo punto però cambiò il magistrato e i suoi resoconti furono archiviati, bollati come “non credibili”. Eppure un investigatore disse: «Non potevi ascoltarla e pensare che si fosse inventata tutto. Ma sapevi che nessuno avrebbe voluto indagare davvero su ciò che stava dicendo». X1, si scoprì in seguito, si chiamava Regina Louf, una donna vittima di abusi durante l’infanzia. I suoi racconti non furono mai seguiti da prove, eppure Regina fornì descrizioni dettagliate di persone e luoghi che trovarono riscontri precisi. Suggestioni, leggende nere? L’interrogativo è rimasto sospeso per anni. Alcuni detective trovarono tuttavia grande coerenza nelle sue parole. Regina ha poi sempre tenuto un basso profilo, senza mai cercare notorietà. «Volevo solo verità e giustizia per le vittime dimenticate» scrisse in una lettera aperta ai media.
Dal Belgio all’altro capo d’Europa: luoghi diversi, stesso incubo. In questo caso i racconti arrivano dai poliziotti di Brazov, nord della Romania. Li raccolse Max Frassi, presidente dell’Associazione Prometeo, che da 30 anni si occupa di minori vittime dei pedofili. Recatosi a Bucarest per aiutare i bambini che vivevano nelle fogne, poco dopo il crollo del regime di Ceausescu, Frassi si imbatte in qualcosa di ancora più spaventoso. «Alcuni agenti vennero a frequentare i nostri corsi (Prometeo effettua seminari di formazione anche per Scotland Yard, ndr): con grande cautela mi raccontarono di turisti stranieri, in prevalenza tedeschi, arrivati per dare la caccia ai bambini presi per strada o negli orfanatrofi. Era da poco finita la guerra in Jugoslavia. Un turpe business dietro cui, mi spiegarono, si celavano rapporti indicibili tra insospettabili e organizzazioni criminali. Per mettere in scena qualcosa del genere servono coperture di alto livello. E a quei tempi la corruzione abbondava…» Negli occhi di Frassi restano impresse le immagini dei bambini delle fogne, su cui ha scritto anche un libro toccante. «Arrivavano dei taxi da cui scendevano stranieri: prelevavano i ragazzini e sparivano. A volte quei bimbi non tornavano indietro. Una volta ne trovammo uno morto: decidemmo di pagare il funerale, per evitargli di finire in una fossa comune». Ricordi che bruciano anche dopo anni, lasciando cicatrici nell’anima. «Ciò che dico pubblicamente sulla pedofilia è solo il 20% di quello che sappiamo: alcune cose sono troppo brutte per raccontarle. Però è ora di squarciare il velo, e denunciare i mostri. Noi lo facciamo da anni, suscitando sdegno e stupore. Ma poi non resta nulla, non cambia niente. Forse è un meccanismo di rimozione collettiva. O forse c’è dell’altro, non si vuole andare fino in fondo. Il caso Epstein in America lo conferma». La realtà a volte supera la fantasia, ma è dura accettarlo. «Ricordo quando andai a Timisoara a visitare un ospedale. Vidi due finestre, dentro si scorgevano tantissimi bambini in una stanza. Chiesi alla mia guida, una ragazza del posto, chi fossero, di quale reparto si trattasse…». La risposta fu raggelante: «Quali bambini? Lì non c’è nulla...». Bambini perduti, che nessuno cerca. Ogni anno scompaiono in Europa 17 minori al giorno (18 mila tra il 2018 e il 2020 secondo la rete di giornalismo investigativo Lost in Europe), in gran parte arrivati soli dall’Africa. Nessuno sa che fine fanno. L’Unhcr ieri ha sottolineato che nel 2025 sono giunti in Italia 6.200 bambini e adolescenti senza genitori o familiari: più di 2.500 si sono allontanati dalle strutture dedicate, «scomparendo spesso nel silenzio e diventando vulnerabili a sfruttamento e abusi». Per tentare di arginare il fenomeno, l’Unhcr promuoverà un progetto di rafforzamento del sistema di accoglienza, in collaborazione con Viminale e Segreteria di Stato della migrazione della Svizzera. L’obiettivo è intercettarli nel viaggio verso Nord, prima che finiscano in un buco nero.