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 2025  novembre 20 Giovedì calendario

Crosetto, Guerini, Tajani e Casini: quirinabili alla finestra

Prepararsi “quirinabili”. I tempi sono lunghi, ma i profili si costruiscono nel tempo e si affinano nei momenti di crisi. La lista è lunga, variegata, deve tenere presenti più variabili. Ma nel grande gioco della politica, il frontale Giorgia Meloni-Sergio Mattarella (che è proprio un frontale, al netto di smentite di facciata) va proiettato direttamente sulle prossime elezioni politiche nel 2027 e su quelle del futuro inquilino del Colle nel 2029. Due eventi indissolubilmente legati: se la premier cambia la legge elettorale a suo vantaggio (eliminando i collegi uninominali e abbassando la soglia per raggiungere il premio di maggioranza, al 40%), ha altissime probabilità di una vittoria certa e larga. Almeno stando agli equilibri di oggi. Con questa legge, il risultato potrebbe essere incerto. Nel primo caso, Meloni avrebbe davanti un’autostrada per cambiare il sistema, nel secondo il sistema, invece, s’impallerebbe. Nel primo caso Meloni potrebbe imporre un suo nome come presidente della Repubblica.
E dunque, se il centrodestra stravince, in cima alla lista per il Colle, ci sarebbe proprio la premier. Matteo Renzi lo dice da tempo: Meloni vorrebbe essere la prima donna al Quirinale. C’è chi è convinto, però, che sia una falsa pista: perché si governa da Palazzo Chigi, e dunque l’unico motivo per aspirare al Colle sarebbe l’esigenza di fuggire dalle responsabilità della crisi economica.
Se la carta vera non è lei, Meloni punterà su uno che viene dalla sua storia. Ignazio La Russa, da presidente del Senato, sarebbe il candidato più naturale. Certo tra un’esternazione e l’altra in salsa di fascista non pentito è dura. E allora, si arriverebbe ad Alfredo Mantovano, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, con delega ai Servizi segreti, quello che ha in mano i dossier più delicati e li gestisce con la fermezza di chi ha l’obiettivo di imprimere il suo passo alla storia.
In realtà, per il presidente della Repubblica si è sempre guardato a una figura che possa prendere anche i voti della parte avversa, almeno sulla carta, e – soprattutto – introdotto in politica estera e di fede atlantista. Nel curriculum ideale, deve aver fatto il Commissario europeo o il ministro della Difesa. Dunque, a salire sono le chance di Guido Crosetto. A crederci è Antonio Tajani, ministro degli Esteri, che si attribuisce l’onere e l’onore di tenere l’Italia nei binari precostituiti, ma di fronte ai momenti di crisi si perde in argomentazioni generiche, che spesso non tengono alla prova della verità. Se si dovesse arrivare a un risultato incerto, il predestinato è il dem Pier Ferdinando Casini; ci aveva provato l’ultima volta, sponsorizzato in primis da Renzi. È andata male. Ci potrebbe provare anche il leghista Luca Zaia, un altro che torna in auge quando si parla di larghe intese. L’opzione uomini di centrosinistra, passa – naturalmente – per una vittoria di quella parte politica. Raccontano che l’officina in cui Dario Franceschini trascorre molto del suo tempo all’Esquilino sia un laboratorio anche in tal senso. Così come Romano Prodi ci spera ancora, dopo il tradimento dei 101. Anche da qui deriverebbe la sua svolta, come contrario a Elly Schlein. Le ambizioni di Paolo Gentiloni sono note: ha fatto il premier, il Commissario agli Affari economici in Europa, era il premier designato ancor prima dell’apertura delle urne per un esecutivo di larghe intese nel 2018. Eppure, potrebbe andare meglio a Lorenzo Guerini, oggi presidente del Copasir, già ministro della Difesa, quello che ha spiegato a Schlein che il sostegno militare all’Ucraina è la linea del Piave. È lui che gestisce i rapporti con il Colle oggi, è uno in grado di dialogare con tutti, soprattutto nel Pd (tutt’altro che scontato). Certo, bisogna capire che Pd ci sarà. Ma questa è un’altra storia. Nel frattempo, nella lista dei “quirinabili” rimane lì da quando si offrì come “nonno al servizio delle istituzioni” pure Mario Draghi. Peccato che il suo profilo non pare spendibile in alcuno schema. Per assonanza, viene in mente l’incarico “congelato” da Napolitano a Pier Luigi Bersani per formare un governo nel 2013. Mai scongelato, mai rinnovato. Un altro, Bersani, che qualcuno vede al Quirinale. Ma ci vorrebbe un centrosinistra a sinistra.