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 2025  novembre 20 Giovedì calendario

La politica punta l’oro di Bankitalia, ma si scontra con i trattati europei

Non è certo la prima volta che le riserve d’oro della Banca d’Italia, e la possibilità di impiegarle a beneficio del bilancio pubblico, finiscono al centro dell’arena politica. L’ultima era stata nel 2019, epoca del primo governo Conte sostenuto dalla maggioranza di 5Stelle e Lega. Un disegno di legge, primo firmatario il leghista antieuro Claudio Borghi, voleva mettere nero su bianco «la proprietà dello Stato» su lingotti e monete, riducendo Bankitalia a semplice depositaria. L’ipotesi dei giallo-verdi era di poter così impiegare l’oro per disinnescare la maxi clausola di salvaguardia da 40 miliardi che sarebbe scattata l’anno successivo. Peccato che, allora come oggi, ogni idea del genere si scontri contro un muro invalicabile, quello dei trattati fondativi dell’Unione europea.
La risposta di Draghi
Fu Mario Draghi, allora presidente della Bce, a spiegarlo con chiarezza al Parlamento Ue, rispondendo alla domanda interessata di due rappresentanti italiani, un leghista e un 5 Stelle. Articolo 127 del Trattato di funzionamento dell’Unione: le Banche centrali «detengono e gestiscono» le riserve ufficiali dei Paesi, oro compreso. Articolo 130: nell’esercizio delle loro funzioni «non possono sollecitare o accettare istruzioni dai governi degli Stati membri». Due pilastri di autonomia ribaditi da Draghi qualche settimana dopo anche in una “opinione” richiesta dalla Camera di Deputati. E che a Via Nazionale, ovviamente, sono pane quotidiano.
Quelle stesse norme sbarrano oggi la strada all’emendamento alla legge di bilancio presentato da Fratelli d’Italia, e appoggiato dalla Lega. In realtà specificare che le riserve «appartengono allo Stato, in nome del popolo italiano» sarebbe perfino superfluo, considerato che la Banca d’Italia è un ente di diritto pubblico. In pratica è un altro tentativo della politica di disporne, utilizzando i proventi di un’eventuale vendita a copertura della manovra o altre spese, cosa vietata dai trattati.
Si capisce perché quei lingotti attirino lo sguardo. Sono quasi 2.452 tonnellate, la quarta riserva più grande al mondo dopo quelle di Stati Uniti, Germania e Fondo monetario. Nell’ultimo bilancio di Bankitalia (anno 2024) il valore era cresciuto a 198 miliardi di euro, e quest’anno l’oro si è rivalutato di un altro 50%. Vero è che vent’anni fa la Francia decise di vendere un quarto delle sue riserve, ma all’epoca questo era consentito da un accordo temporaneo tra banche centrali. Ed è vero che nel 2011 Romano Prodi suggerì di cederne una parte, ma ad un veicolo europeo, come garanza per l’emissione di debito comune.
La proposta, insomma, pare destinata a cadere nel nulla come le precedenti. Se mai fosse approvata, a Via Nazionale – che certo non vuole farsi trascinare nell’arena – non servirebbe neppure alzare un dito: sarebbe direttamente la Commissione ad intervenire, come per tutte le norme nazionali in conflitto con le leggi Ue. La domanda, allora, è perché – conoscendo i precedenti – il partito della premier Meloni abbia deciso comunque di inserire l’emendamento tra i segnalati. Che si tratti di un messaggio, dopo le critiche mosse dalla Banca d’Italia alla manovra, lo si dice anche in ambienti di Fratelli d’Italia.