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 2025  novembre 20 Giovedì calendario

Haiti in America col c.t. da remoto Curaçao ci va da Paese più piccolo

Sogni mondiali prendono il volo sul Mar dei Caraibi. Destinazione Usa, Messico e Canada 2026, Coppa del Mondo allargata a 48 squadre che ancora non ci vede coinvolti, maledetti spareggi. L’Italia per ora non è invitata a una festa in cui sembra esserci spazio per tutti. Anche per Curaçao e Haiti, le cui qualificazioni al prossimo Mondiale – ufficiali dalla scorsa notte – sono legate da un filo invisibile.
Mentre Curaçao strappava il punticino necessario in Giamaica (il c.t. McClaren ieri si è dimesso per la mancata qualificazione) nello scontro diretto in trasferta diventando il Paese più piccolo di sempre a raggiungere un Mondiale, Haiti batteva 2-0 il Nicaragua proprio nell’isola di Curaçao, in un match casalingo per così dire, lontano 800 chilometri, dal momento che lo stadio nazionale della capitale Port-au-Prince è occupato dalle bande criminali che ormai controllano tutto, dopo la guerra civile esplosa nel 2021. Gli haitiani devono giocare altrove, il Paese vive nel terrore, ma dopo la qualificazione ritrovata (prima volta al Mondiale dall’edizione del 1974) le persone si sono riversate nelle strade impazzendo di gioia.
Haiti ha raggiunto il traguardo trascinata da un c.t. che non ha mai messo piede sull’isola. Il francese Sebastien Migné guida la Nazionale da un anno e mezzo, ha costruito la sua squadra «da remoto» e affidandosi ai consigli dei dirigenti federali.
«La gente scappa, tutto è chiuso, la violenza è folle» è il messaggio lanciato da Louicius Don Deedson, autore del gol che ha sbloccato la partita.
Se la qualificazione di Haiti è storia di riscatto, l’impresa di Curaçao sembra la più classica delle favole, il cui lieto fine non è però frutto di una magia ma nasce da un progetto, da una visione. È un’isola appartenente al Regno dei Paesi Bassi ma è perlopiù autonoma, la svolta calcistica parte da un’intuizione: non puntare sui giocatori locali, ma sugli olandesi con parenti vicini o lontani di Curaçao. Tra i protagonisti della cavalcata verso i Mondiali, solo uno – Tahith Chong, ex giocatore del vivaio del Manchester United – è nato nell’isola. Tutti gli altri arrivano dall’Europa e hanno scelto Curaçao perché vestire Oranje sarebbe stata utopia. Qualche nome? Leandro Bacuna, ex centrocampista dell’Aston Villa ora in Turchia come il fratello Juninho. Kenji Gorre, anche lui ex United, attaccante del Maccabi Haifa in Israele. Una rosa assemblata negli anni con la guida di un allenatore esperto come Dick Advocaat, ovviamente olandese, che sarà in panchina per il suo terzo Mondiale dopo aver guidato gli Oranje nel 1994 e la Corea del Sud nel 2006.
Gilbert Martina, presidente della Federcalcio di Curaçao, parla di un progetto partito nel 2004 e di un approccio addirittura con Louis Van Gaal, che avrebbe declinato dicendo: «Se torno ad allenare, voglio vincere». Advocaat ci ha creduto, ha costruito un capolavoro, ma non ha potuto esultare con i suoi ragazzi per la qualificazione: poco prima della sfida contro la Giamaica è dovuto rientrare in Olanda per un’emergenza familiare. I suoi hanno lottato in un ambiente ostile, con un costante rumore di fondo in stile vuvuzela a Sudafrica 2010, con gli avversari che hanno colpito tre legni e si sono visti revocare un rigore dalla Var nel recupero. Sofferenza ed estasi per i pochi abitanti del Paese, meno di 200 mila: primato tolto all’Islanda come nazione meno popolata (l’isola del fuoco e del ghiaccio nel 2018 ne contava circa 350 mila) a raggiungere un Mondiale. E come Paese più piccolo ha scippato il titolo a Capo Verde, che si era qualificato a ottobre. Mentre noi stiamo a guardare, il mondo del calcio evolve in fretta.