il Fatto Quotidiano, 18 novembre 2025
Assolti: la destra vuole le sentenze sui media e poi il bavaglio al web
Non bastava il diritto all’oblio, conquistato con la riforma penale dell’ex Guardasigilli Marta Cartabia nel settembre 2023. L’ispiratore era Enrico Costa, che all’epoca aveva già messo a segno le nuove regole sulla presunzione d’innocenza (parla solo il procuratore, i singoli pm devono stare zitti). Ma ora serve molto di più, non solo bisogna “deindicizzare”, di fatto far sparire dal web, la storia dei processi chiusi con un’assoluzione, ma anche quelli finiti per via della prescrizione. Perché così pretende la Lega, che copia di sana pianta, ma anche aggrava assai, la nuova proposta di Costa che prevede l’obbligo della “pubblicità delle sentenze di assoluzione o proscioglimento”, pena la “segnalazione al Garante”.
Ma giusto oggi chiedere il soccorso del Garante significa parlare di un’istituzione messa in grave crisi, per usare un’espressione garbata, dal caso Ranucci. Perché “quel” Garante della privacy veste i panni di Pasquale Stanzione, attuale titolare dell’ufficio. Con lui c’è il consigliere Agostino Ghiglia che incontra Arianna Meloni a ridosso della multa da 150 mila euro alla trasmissione Report e al suo conduttore Sigfrido Rannucci, giusto in coincidenza con l’attentato alla sua casa di Pomezia. Ma Costa alza subito le mani: “I media sono soliti dare molto spazio alle inchieste e alle accuse e a omettere le notizie delle assoluzioni. L’innocente ha diritto a recuperare l’immagine e la reputazione. Se la testata si oppone, il ricorso al Garante è l’unico mezzo che resta al cittadino. Mi auguro proprio che le polemiche, peraltro fondate sul nulla, di questi giorni non influenzino il percorso parlamentare di una proposta che risale al 2022”.
Ma ora le due proposte sono sul tavolo della commissione Giustizia della Camera. Pronte ad andare spedite. Oggi vedranno le audizioni di Anm, avvocati, Fnsi ed Errori giudiziari. E del giurista Gian Luigi Gatta che già vede un possibile “grave colpo” anche per via della “scomparsa” dei processi chiusi per prescrizione come quelli di Berlusconi. La prima proposta è di Costa, oggi vicepresidente forzista della commissione Giustizia. Risale al 24 novembre 2022, e fa parte del pacchetto che il deputato ipergarantista ha presentato su tutto, dalle carriere alla stretta su intercettazioni e microspia Trojan. Ma al suo ddl, il 27 marzo, si aggiunge quello a prima firma di Simonetta Matone, la magistrata supertelevisiva che passa spesso dalla toga agli incarichi di sotto governo. Con lei la firma tutta la Lega, Riccardo Molinari in testa. Ma a sponsorizzarla sarebbe soprattutto Armando Siri, l’ex sottosegretario leghista che a gennaio ha visto archiviata a Milano l’indagine per finanziamento illecito e dichiarazione infedele che nel 2019 gli è costata l’incarico di governo.
E i due articoli di Matone, in lunghezza il doppio di Costa, vanno ben oltre l’obbligo di pubblicare l’esito finale del processo. Lei non si accontenta della sola notizia dell’avvenuta assoluzione o del proscioglimento, ma ne fa una questione “d’onore”, tant’è che chiede sia riconosciuto all’imputato o all’indagato “il diritto alla buona fama e alla riservatezza”. Usando quest’espressione scrive che “non sia sufficiente applicare il diritto all’oblio e il diritto alla protezione dei dati personali, ma sia necessario introdurre un nuovo diritto”, appunto quello alla “buona fama”. Altro che limitarsi a “deindicizzare”, bisogna far sparire tutta la storia di un possibile coinvolgimento giudiziario, anche se chiuso con un “lieto fine”. Siamo oltre l’oblio.
Ma non basta perché Matone, al contrario di Costa, batte pure cassa. Le tre righe finali della proposta danno un nuovo potere al Garante. “In caso di inadempimento dell’obbligo diffida il fornitore del servizio ad adempiere entro 30 giorni. In caso di inottemperanza alla diffida il Garante applica la sanzione amministrativa pecuniaria di cui all’articolo 83, paragrafi 4 e 5 del regolamento Ue 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016”. Parliamo di una “punizione” che può arrivare fino a 10 milioni di euro o al 2% del fatturato annuo totale per violazioni meno gravi, e fino a 20 milioni o al 4% del fatturato annuo per quelle più gravi.