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 2025  novembre 18 Martedì calendario

Fdi: “L’oro di Bankitalia allo Stato”. La tentazione da 300 miliardi minaccia l’economia mondiale

«Le riserve auree gestite e detenute dalla Banca d’Italia appartengono allo Stato, in nome del popolo italiano». Il testo, firmato dal capogruppo di Fratelli d’Italia al Senato Lucio Malan è un emendamento alla Manovra finanziaria e sarebbe stato concordato direttamente con la premier. Non si tratta di una novità assoluta, già nel 2014, durante il governo Letta, Meloni si batteva per questo principio definendo l’oro «l’unica garanzia e ricchezza relativa rimasta agli italiani». Durante il governo Lega-M5s, invece, Lega, Cinque Stelle e Fratelli d’Italia si erano compattate dietro un’analoga proposta del leghista Claudio Borghi.
Le riserve d’oro
Il patrimonio in questione ammonta a 2.452 tonnellate d’oro, il che posiziona l’Italia al quarto posto al mondo tra i Paesi con maggiori riserve auree. Prima, Stati Uniti e Germania, con Federal Reserve americana, la Bundesbank tedesca e il Fondo Monetario Internazionale.
Oltre metà di questo tesoretto però si trova all’estero. Il 43,29% è depositato negli Stati Uniti, il 5,7% nel Regno Unito e il 6% in Svizzera, mentre soltanto il 44,86% rimane effettivamente sul territorio nazionale. Questa scelta risponde sia a ragioni storiche legate ai luoghi di acquisto, sia a criteri di gestione del rischio e di rapidità operativa nelle principali piazze finanziarie globali.
Il valore di queste riserve sta crescendo. A fine 2024 ammontava a quasi 198 miliardi di euro, con un incremento del 34,4% rispetto all’anno precedente. Ma la corsa dell’oro proseguita nel 2025, con quotazioni oltre i 4.000 dollari l’oncia e un rialzo del 50% solo quest’anno (+115% rispetto a 5 anni fa), porta la stima attuale vicino ai 300 miliardi.
La tentazione della politica nei confronti di questo tesoro è antica e trasversale. Nel 2004 Giulio Tremonti, ministro dell’Economia del governo Berlusconi, propose una vendita parziale delle riserve, incontrando il netto rifiuto dell’allora governatore Antonio Fazio. Successivamente fu Romano Prodi ad aprire a una possibile immissione sul mercato, scontrandosi stavolta con il veto della Banca Centrale Europea.
Resta però il dubbio sulla possibilità e i modi in cui utilizzare il bene rifugio. Le banche centrali gestiscono le riserve ufficiali in autonomia, nel rispetto delle direttive della BCE. In situazioni di crisi valutaria, l’oro può servire come garanzia per ottenere finanziamenti o, in ultima istanza, essere venduto per sostenere il valore della moneta nazionale.
Tuttavia queste riserve sono sostanzialmente intoccabili. Una loro smobilitazione comporterebbe rischi enormi sui mercati finanziari, senza contare il probabile crollo immediato del prezzo dell’oro qualora l’Italia decidesse di vendere una quantità così significativa. Il certificato di proprietà rivendicato dal governo stabilisce un principio, ma la realtà operativa rimane vincolata a rigidi criteri di prudenza finanziaria.