corriere.it, 18 novembre 2025
Parco dello Stelvio, si potrà sparare a 237 cervi. La carne venduta e le polemiche
Da alcuni giorni all’interno dei confini del Parco nazionale dello Stelvio i fucili sono tornati a sparare. Tuttavia, non si tratta di bracconaggio ma di un preciso piano dell’ente per ridurre il numero dei cervi presenti in una delle aree protette più antiche d’Italia (dal 1935). Infatti, nella parte trentina del Parco (che si estende nelle province di Bolzano, Brescia e Sondrio), dal 2023 è entrato in vigore il cosiddetto «Piano di conservazione e gestione del cervo». L’obiettivo della Provincia di Trento è quello di «ridurre gli squilibri ecologici» provocati dalla sovrabbondanza di questa specie.
Decisione contestata
Secondo le stime iniziali, solo nel distretto della Val di Sole erano presenti 2.900 cervi, di questi circa 1.600 si trovavano nel Parco. Per questa ragione, i cacciatori opportunamente formati (e in alcuni casi persino i forestali) sono entrati in azione nelle due «aree di controllo»: una in Val di Peio e l’altra in Val di Rabbi. Nonostante la scelta avesse scatenato aspre polemiche – tra cui una petizione che aveva raccolto migliaia di firme – negli ultimi due anni sono stati abbattuti 332 cervi: una media di quasi otto esemplari al giorno (considerando che si può cacciare solo per una quarantina di giorni all’anno). Dallo scorso 11 novembre ha invece preso il via la terza stagione di controllo, che punta a prelevare altri 237 cervi.
Risultati superiori alle attese
In un certo senso il progetto sta funzionando meglio del previsto. In un primo momento, nel corso del 2025 (e per i successivi due anni) il Parco aveva previsto di abbattere 400 esemplari. Tuttavia, anche su richiesta degli stessi cacciatori (che hanno inviato una lettera all’assessore provinciale Roberto Failoni), il numero è stato ridotto a 237. Nei primi due anni gli abbattimenti dei cervi hanno quasi raggiunto la quota stabilita (180 capi). Stando alle nuove stime, quest’anno all’interno del Parco dello Stelvio sarebbero presenti circa 1.250 cervi (al netto dei piccoli); il numero sale a 2.612 capi considerando l’intera Val di Sole. Per essere più precisi, nell’area della Val di Rabbi i valori di consistenza e densità della popolazione di cervi sono prossimi a quelli individuati come obiettivo. Discorso simile per la Val di Peio, dove i risultati dei censimenti riportano una consistenza decisamente più bassa rispetto ai conteggi del 2024, anche se la densità di questi ungulati resta superiore a quella prefissata. Come già anticipato, la necessità di abbassare il numero dei prelievi è stata condivisa anche dai cacciatori, preoccupati di ridurre eccessivamente la popolazione di cervi che vive nel distretto della Val di Sole e di conseguenza di vedersi diminuire il numero di capi che si possono abbattere nelle riserve di caccia. In altre parole, si proseguirà con quella che viene definita «attività sperimentale», riservandosi la possibilità di modificare nuovamente l’entità degli abbattimenti in base ai nuovi censimenti.
I danni provocati al terriotorio
Ma perché nei confronti dei cervi il Parco e la Provincia hanno deciso di attuare questa soluzione drastica? A detta degli esperti, l’elevata densità della specie causa una serie di problemi sia ad altri ungulati – in particolare a camosci e caprioli – sia alla flora del territorio. Come riportato nell’apposita delibera provinciale, i cervi sarebbero così tanti da «modificare la composizione e la struttura del bosco», riducendo in questa maniera l’habitat del gallo cedrone. Piante come l’abete rosso, non riescono a sviluppare un tronco importante perché gli ungulati brucano buona parte delle gemme apicali. Poi ci sono gli impatti sulle attività umane: nei mesi primaverili i cervi si alimentano sui prati da sfalcio causando ammanchi di fieno che arrivano fino al 30%.
La carne venduta a ristoranti e cacciatori
Nell’ambito dell’attività di controllo, il Parco effettua una serie di misurazioni sui capi abbattuti e ne analizza la carne, che poi viene venduta. Una parte finisce ai cacciatori, che possono acquistarla a un prezzo di favore (2,5 euro al chilo), il resto viene venduta sul mercato. Per esempio, il ristorante di Madonna di Campiglio «Il Gallo Cedrone» (taverna dell’Hotel Bertelli con una Stella Michelin) aveva deciso di servire un piatto ad hoc, preparato con la carne dei cervi uccisi nell’area protetta. In questo modo il Parco ha raccolto in due anni oltre 56 mila euro. L’ente, però, deve sostenere anche diversi costi. Il trattamento delle carcasse ammonta a 99,90 euro a capo (più Iva) e in due anni ha raggiunto la cifra di circa 32.500 euro. Inoltre, per ripagare i cacciatori dell’onere di consegnare le carcasse negli appositi centri di raccolta, è stato previsto un rimborso spese di 10 euro per ogni ungulato abbattuto in Val di Peio e di 30 euro per quelli prelevati in Val di Rabbi. Per i conduttori dei cani da recupero è stato invece applicato un rimborso spese da 50 euro per ogni giornata in cui sono stati impegnati nelle attività di controllo. Secondo il programma, il «Piano di gestione del cervo» dovrebbe concludersi entro il 2027, per poi passare a una fase di «controllo conservativo» che prevede l’abbattimento di 250 cervi all’anno all’interno dell’area protetta.