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 2025  novembre 18 Martedì calendario

Buccirosso: «Io, ispettore nel nuovo film di Vanzina. Perché ho detto no a Sorrentino»

Autore, regista e protagonista del suo teatro, Carlo Buccirosso debutta domani sera (ore 21) al Diana – che ne è anche il produttore – con Qualcosa è andato storto!. Uno spettacolo nuovo di zecca che racconta con consueta cifra ironica, un interno di famiglia molto complicato. 
Il protagonista si chiama Corrado Postiglione. Chi è?
«Un avvocato; io lo definisco non proprio di prima fascia perché si barcamena tra clienti improbabili e non molto raccomandabili». 

Non è esattamente un principe del Foro dunque?
«Esatto (ride). La verità è che io amo rappresentare le professioni. Vorrei portare in scena di volta in volta tutti i mestieri del mondo: salumiere, spazzino, psichiatra, medico di base...». 
Lei ha rischiato davvero di fare l’avvocato. Si iscrisse a legge e poi?
«Mi fermai a un solo esame dalla laurea». 
Quale? E perché?
«Procedura civile, un grosso scoglio. La verità è che già a sette esami dalla tesi avevo iniziato a fare l’attore. Certo ero un principiante, lavoravo in compagnie minori. E soprattutto giocavo a calcio: sono arrivato in promozione. Lì ho cominciato tardi, mi sono rotto due volte la tibia, poi anche il radio: era tosta, allenamenti alle sei del mattino, troppo per me. Il calcio però mi è rimasto nel sangue e l’ho portato nel mio metodo teatrale: sono un allenatore che cura molto la squadra di attori, cerco di farli sentire amati, seguiti e capiti». 
Qual è la storia di Postiglione?
«Ha una madre ottantenne – interpretata da un’attrice brava, in là con gli anni, Tilde De Spirito – vedova con tre figli, che si sente abbandonata; vive in campagna dove la raggiunge la nipote trentenne che la ama moltissimo ed è l’unica a desiderare l’armonia di quella famiglia disfunzionale. Postiglione, in quanto avvocato, deve dirimere le questioni ereditarie che s’affacciano al primo colpo di tosse della madre, una donna-carabiniere in borghese. Non è chiaro, infatti, chi abbia abbandonato chi». 
Progetti cinematografici?
«Uscirà, non so precisamente quando, il nuovo film di Enrico Vanzina, tratto dal suo romanzo La sera a Roma: interpreto un ispettore di polizia, Margiotta, che indaga su una serie di omicidi che sono avvenuti nel mondo aureo e decadente della nobiltà romana; è tipo una Grande bellezza – è quella l’atmosfera – ma in versione giallo, con contesse e marchese che vivono intricate storie di sesso e invidie». 
Ruoli a cui è più legato?
«Quello di Noi e la Giulia, per il quale ho vinto il David di Donatello, e certamente il Cirino Pomicino de Il Divo di Paolo Sorrentino. A parte quatto ore e mezza di trucco e tre di smontaggio, ci sono entrato pian piano puntando su alcune sue caratteristiche: intelligenza, intuito, la frenesia con cui parlava, la velocità di pensiero. La voce era la mia, non avevo nessuna voglia di doppiarmi. Paolo è molto bravo nell’indicarti il percorso per cogliere il personaggio: ti dice poche, importanti cose all’inizio poi ti lascia libero. Ho rifiutato però un ruolo che mi aveva offerto in È stata la mano Dio: non mi soddisfaceva». 
Tutti vogliono lavorare con Sorrentino e lei rifiuta?
«Non dipendeva dai giorni di lavoro che erano sette, mica pochi. Con i Manetti, per Song ’e Napule, ho accettato una sola giornata. Per 35-40 film che ho girato – non li conto – ci sono almeno 25 ruoli che ho rifiutato». 
E il sodalizio con Salemme?
«A teatro alcuni tentativi non sono andati a buon fine, quello del cinema è un discorso aperto: lavorerei sia con lui che con Paolo se i ruoli mi convincono e divertono». 
Come vive i suoi magnifici 71 anni?
«Il teatro tiene in forma e benché non sia un ottimista, spero sempre che qualcuno trovi un rimedio per non morire».