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 2025  novembre 16 Domenica calendario

Cuba, non resta che la fuga dal decadentismo dell’isola

La corrente salta. All’improvviso la luce non c’è più. In casa ci si muove solo con le torce del telefono ma bisogna fare attenzione e risparmiare la batteria: per ore non sarà possibile ricaricare. Si attende e si spera che gli alimenti in frigorifero non vadano a male. Sono i blackout, e a Cuba fanno parte della quotidianità. A volte è l’intera isola a rimanere senza elettricità: nel 2025 ci sono stati 4 blackout totali. Nelle singole città la corrente salta più volte a settimana, anche per 20 ore. «Chi ha in casa un generatore riesce a resistere – spiega Ben, 50 anni, che vive a L’Avana – Io, ad esempio, non ce l’ho. Costa almeno mille dollari e dovrei farmelo spedire dagli Stati Uniti, non è possibile». I generatori sono soprattutto nelle case particulares, le abitazioni di cittadini cubani che accolgono anche i turisti. Una sorta di airbnb locale, ma iper-tassato. Lì, di solito, ai visitatori si garantisce l’aria condizionata.
Ma la corrente che manca è solo uno dei tanti aspetti che hanno reso le condizioni di vita molto dure a Cuba. L’isola si sta spopolando: tra il 2022 e il 2023, un milione di cubani ha lasciato il Paese. «Qui rimane solo chi non può andare via – dice Rosa, che fa la guida turistica nella capitale.– Io ho sempre amato Cuba e non ho mai pensato di andarmene. Da quando è nato mio figlio però ho cambiato idea: non voglio che lui viva quello che tutti noi stiamo patendo». Lo stipendio medio oggi varia dal corrispettivo di 710 euro al mese per un addetto alle pulizie, ai 30 per un medico, cifre che «non sono sufficienti per vivere nemmeno due settimane». Mentre parla, Rosa accompagna i turisti per le vie del centro storico: racconta con entusiasmo la storia cubana, le sue conquiste. Sulle facciate degli edifici risaltano i volti e le parole di Che Guevara e Fidel Castro. Attorno, però, spesso i muri cadano a pezzi. I cubani paragonano la situazione a quella del periodo especial, i mesi che seguirono il crollo dell’Unione sovietica, negli anni Novanta. Fu uno dei momenti più drammatici per Cuba, e per questo il paragone è significativo. Dal 2019 diversi problemi si sono sommati: la crisi Covid ha annullato i flussi di vacanzieri, una delle principali fonti di guadagno per i cubani. Ha poi peggiorato la situazione sanitaria. «Non abbiamo antibiotico o tachipirina, non riusciamo più a produrli né a importarli», spiega ancora Rosa. Le sue parole vengono confermate più volte soprattutto allontanandosi dalla capitale: le persone chiedono l’elemosina, non in denaro ma in farmaci. È un’altra delle grandi contraddizioni cubane: «La nostra sanità è gratuita e di altissimo livello. Se io avessi bisogno di un trapianto, potrei andare in ospedale e riceverlo gratuitamente. Ma intanto ci mancano le medicine di base». Così come il carburante: uno dei principali importatori è il Venezuela, ma la catena di approvvigionamento è diventata molto instabile.
Lo racconta Adrian, un autista di sessant’anni che guida un pulmino 20 posti. «Ogni mattina vado dal benzinaio e mi metto in coda. Non so quanto dovrò attendere, né se il carburante arriverà. In più, ogni mezzo può prelevare solo una quantità fissa di benzina». Fuori dalle città, molti si muovono con carretti trainati dai cavalli. Anche altre azioni sono diventate molto complesse: comprare al supermercato, ad esempio. I cubani parlano di “dollarizzazione” dell’economia: nel Paese la valuta ufficiale è il peso cubano ma la moneta forte è il dollaro, che arriva soprattutto sotto forma di rimesse dall’estero e dai turisti. Negli ultimi anni lo Stato ha di fatto ammesso la dollarizzazione: le catene di supermercati statali aperti dal 2019, ad esempio, ammettono solo pagamenti in dollari o euro, monete che servono alle casse governative per rendersi più credibili a livello internazionale. A discapito, però, della gente. «Noi veniamo pagati in pesos – dice Jose, 35 anni, che per mantenere la sua famiglia viaggia ai quattro angoli del Paese –. Tutti i mesi io devo prendere il mio stipendio, andare al mercato nero e acquistare i dollari».
La vita quotidiana, così, è una corsa a ostacoli. Le motivazioni vanno cercate sia all’interno che all’esterno del Paese.
Gli Stati Uniti distano solo 150 chilometri in linea d’aria, e da lì passano molti dei problemi: con la presidenza di Donald Trump, le speranze per i cubani si sono ridotte. Il Paese è stato ricollocato tra gli “sponsor del terrorismo”; agli statunitensi è vietato viaggiare a Cuba per mero turismo; è stato rafforzato l’embargo, cioè l’insieme dei limiti e divieti imposti al commercio tra Usa e Cuba; il processo di apertura iniziato nell’era Obama è stato sostanzialmente azzerato. I cubani sanno che il loro territorio è una preda ambita per gli Usa. «Prima della rivoluzione, qui volevano costruirci Las Vegas. Cuba doveva essere il parco giochi degli americani. Poi per fortuna questo non è avvenuto, ma non sappiamo che cosa potrà accadere nel futuro».
All’interno, invece, si punta il dito soprattutto contro la «corruzione» di chi è al potere. «Vedi? Quelli del governo abitano tutti lì. Con Fidel sarebbe stato impensabile» dice ancora Jose, mentre indica la parte più ricca della città, su una collina con vista mare e ville di epoca coloniale. Manca trasparenza sulla gestione dei fondi statali, in particolare sul patrimonio del Gaesa, il gruppo legato alle Forze armate rivoluzionarie che controlla decine di imprese, banche, negozi: nelle sue casse ci sarebbero, secondo report giornalistici, miliardi. E intanto la manutenzione delle strade e delle infrastrutture non avviene. «Qui siamo rimasti fermi a quarant’anni fa – conclude Adrian –. Invece dovremmo andare avanti. Sarebbe bello tenere ciò che ci siamo conquistati, come i diritti sociali, la sanità e l’università gratuite, e aprirci di più agli investimenti privati».
Ciò che rimane di Cuba, allora, lo si deve soprattutto ai cubani che ogni giorno provano a portare avanti una propria attività. Santiago, 50 anni, è un musicista e pittore. «Al mio pianoforte mancano due tasti, ma qui a Cuba non sono disponibili ricambi, dovrei farmeli spedire dall’estero». La sua musica, però, incanta. Santiago scuote la testa e sorride: «Qui dobbiamo fare tutto con passione – insiste –, dobbiamo essere appassionati di ciò che facciamo perché sappiamo che da questo dipende la nostra intera sopravvivenza».