Avvenire, 16 novembre 2025
«Ore in bici per avere la patente. Così si prevengono gli incidenti»
E se per prendere la patente fossimo obbligati a fare anche alcune ore di guida con la bicicletta? È la proposta lanciata su Change. org da Sirio Romagnoli, cicloattivista torinese, che in due settimane ha già raccolto più di 1.500 firme. «Faccio parte di un gruppo di persone che usano bici e monopattini: ogni giorno segnaliamo parcheggi abusivi sulle ciclabili o in doppia fila». Per questo propone di inserire un obbligo di almeno otto ore di guida in bicicletta: «In nazioni come i Paesi Bassi o la Danimarca esistono già programmi simili, e gli incidenti sono molto meno frequenti. Servirebbe a comprendere come le azioni di chi guida possano avere effetti su chi pedala, ma anche a far capire che andare in bici è una cosa “da adulti”, con regole, diritti e doveri precisi».
I dati purtroppo confermano l’urgenza. Dall’inizio dell’anno, l’Osservatorio Ciclisti Asaps-Sapidata ha registrato 199 decessi tra i ciclisti (nel 2024 erano stati 184). In testa la Lombardia con 44 vittime, seguita da Emilia-Romagna (33) e Veneto (26). Il Centro di competenze territori AntiFragili del Politecnico di Milano ha recentemente pubblicato l’Atlante italiano dei morti e feriti gravi in bicicletta: tra il 2014 e il 2023 sono stati censiti 164.492 incidenti. Le mappe interattive permettono di conoscere la distribuzione geografica e la frequenza: la maggior parte avviene di sabato, intorno alle ore 11, su carreggiate a doppio senso, con fondo asciutto. Un patrimonio di dati prezioso anche per le amministrazioni locali, che possono così individuare i punti più critici delle proprie città.
«Il 68,4% degli incidenti ciclistici avviene per collisione con un’automobile, e la probabilità di uscirne incolumi è bassissima», spiega Paolo Bozzuto, docente del dipartimento di Architettura e studi urbani del Politecnico, che ha guidato il gruppo di ricerca. «È fondamentale investire in infrastrutture ciclabili, ma è un intervento che richiede tempo. Nel frattempo bisogna lavorare sulla convivenza, ricostruendo l’immaginario della strada come spazio condiviso tra utenze diverse». Non a caso è stata coniata la parola “bikelash” (dall’unione di bike e backlash) per indicare la reazione ostile che si scatena quando si promuovono politiche a favore della mobilità dolce o si riduce lo spazio per le auto. Eppure, dove queste politiche vengono adottate, i risultati si vedono: a Bologna, l’introduzione delle “Città 30” ha portato a una riduzione del 15% degli incidenti.
Già nel 1973, lo storico Ivan Illich, nel suo saggio Elogio della bicicletta, descriveva la bici come il mezzo che offre la massima efficienza e restituisce alla città una dimensione più equa. «Illich esprimeva un concetto: la velocità degrada le relazioni sociali. Fino alla seconda metà del Novecento, la strada urbana era considerata un’estensione dello spazio domestico, in cui i bambini giocavano e gli anziani chiacchieravano. Con la diffusione dell’automobile, è diventata un canale esclusivo per il traffico». Oggi l’80% dello spazio stradale è occupato dalle auto, e chi si muove a piedi o in bici è percepito come un “invasore”. «Ma se non esistono percorsi ciclabili e pedonali, il ciclista deve per forza stare in strada», ricorda Bozzuto.
Sulla stessa linea anche Luigi Menna, presidente della Fiab (Federazione italiana ambiente e bicicletta): «Uno dei problemi principali è la disattenzione e la scarsa conoscenza delle regole. Il Codice della Strada cambia nel tempo: sarebbe utile un corso di aggiornamento ogni volta che si rinnova la patente». Un esempio recente è l’introduzione dell’obbligo di mantenere una distanza laterale minima di 1,5 metri nel sorpasso dei ciclisti, regola rispettata da anni nel resto d’Europa, ma da noi ancora poco osservata. Menna ritiene utile la proposta di Romagnoli: «Se passi qualche ora in bici e sperimenti la realtà del ciclista, quando torni al volante ti comporti diversamente. È una proposta realizzabile, serve solo la volontà politica». Oggi solo la metà dei diciottenni prende la patente. Da un lato significa che molti giovani non conoscono il Codice della Strada; dall’altro che l’età media dei conducenti aumenta. «Anche per gli anziani – osserva Menna – servirebbe un aggiornamento continuo, per garantire sicurezza a tutti gli utenti».
La Fiab promuove già molte iniziative: il BiciBus, in cui gruppi di adulti accompagnano i bambini a scuola pedalando insieme; corsi di educazione stradale nei cortili delle scuole; collaborazioni con i Comuni per una mobilità più sostenibile. A Roma ha contribuito al Biciplan, un piano decennale che ridisegna la città in chiave conviviale. Lo studio internazionale “Safety in Numbers” mostra che raddoppiando il numero di ciclisti il rischio individuale si riduce del 34%: più persone pedalano, più la strada diventa sicura.