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 2025  novembre 16 Domenica calendario

Privacy, vacilla il muro Ue. Verso mani libere sui dati anche per le Big Tech Usa

Non solo regole “green”. La crociata Ue in nome della sburocratizzazione e della crescita, e la volontà di non irritare la Casa Bianca, hanno messo un nuovo obiettivo nel mirino: la normativa europea sulla privacy. Sette anni dopo la sua entrata in vigore, vacilla così il Gdpr, acronimo che sta per regolamento generale sulla protezione dei dati personali, tra le leggi in materia più avanzate al mondo.
Per vedere l’effettiva portata del cambio di passo toccherà aspettare mercoledì, quando da palazzo Berlaymont la vicepresidente esecutiva responsabile della Sovranità tecnologica, la finlandese Henna Virkkunen, alzerà il velo sull’Omnibus digitale predisposto dalla Commissione. Stando alle bozze circolate questa settimana a Bruxelles e consultate dal Messaggero, però, le modifiche sono destinate a cambiare il volto della riservatezza online per gli europei, accogliendo le richieste delle Big Tech.
Restringendo la definizione giuridica di dati personali, le falle nel muro della privacy permetterebbero di raccogliere e usare le informazioni per addestrare modelli di intelligenza artificiale (IA). Aziende come Google e OpenAI potrebbero, così, invocare un «interesse legittimo», senza chiedere un consenso espresso agli utenti. A proposito di consenso, poi, il piano propone anche un giro di vite per limitare i banner pop-up che compaiono quando visitiamo i siti web, con la richiesta del permesso di installare cookie, una fastidiosa quanto consolidata pratica Internet che le stesse bozze Ue definiscono «fonte di affaticamento» per chi naviga online. In parallelo, verrebbe rinviata di un anno (dal 2026 al 2027) l’applicazione delle regole sui sistemi di IA ad alto rischio, cioè legati a salute, infrastrutture critiche, sicurezza o diritti, previste dalla legge Ue sull’intelligenza artificiale (nota come AI Act).
A pesare è il pressing delle Big Tech americane in nome di un alleggerimento delle norme Ue: i colossi della Silicon Valley hanno trovato in Donald Trump un alleato e nelle sua minacce un’efficace testa d’ariete contro un’Europa che, dal canto suo, non ha perso tempo a indossare i guanti di velluto ad esempio ritardando le multe contro il social X di Elon Musk. Secondo la versione di Bruxelles, in ballo è semmai la volontà di smantellare – così si legge – «l’accumulo di regole che talvolta hanno effetti indesiderati sulla competitività» delle imprese del continente, strette nella morsa globale tra Cina e Stati Uniti. E ciò «creando più opportunità per le nostre industrie nella condivisione dei dati, il loro trattamento o l’addestramento dei sistemi di IA». Un intento sostenuto nero su bianco dalla Germania, il governo più attivo sul fronte della semplificazione digitale.
Decine di grandi compagnie europee, tra cui Airbus, Lufthansa e Mercedes-Benz, avevano chiesto a luglio, in un appello rivolto alla presidente della Commissione Ursula von der Leyen, una moratoria sull’AI Act «per consentire un’attuazione ragionevole». Anche l’ex premier Mario Draghi, autore di un report sul rilancio della competitività che ha da poco compiuto un anno, aveva invitato l’Ue a sospendere l’esecuzione della fase più avanzata dell’AI Act «fin quando non ne comprenderemo meglio gli svantaggi». L’obiettivo dell’Omnibus digitale «non è annacquare o riaprire la nostra legislazione, ma rendere la vita più facile alle imprese, riducendo gli oneri amministrativi», aveva ribattuto nei giorni scorsi un portavoce dell’esecutivo Ue, interpellato sulle pressioni americane. Nelle stesse bozze dell’Omnibus – che potranno ancora cambiare prima di mercoledì -, la Commissione anticipa le critiche sostenendo che si tratta solo di «modifiche di natura tecnica, con cui vogliamo adeguare il quadro normativo ma non alterare gli obiettivi complessivi. Le misure sono calibrate in modo da mantenere inalterati gli standard di protezione dei diritti fondamentali».
IL PASSAGGIO
Non la pensa così Max Schrems, avvocato austriaco all’origine di sentenze storiche della Corte di Giustizia dell’Ue contro Facebook sul trattamento dei dati, e fondatore del Centro europeo per i diritti digitali (Noyb), secondo cui «questo declassamento massiccio della privacy» Ue non è pensato per le piccole e medie imprese, «ma per le Big Tech».
«Se la Commissione non cambierà rotta, sarà il più grande arretramento dei diritti digitali nella storia dell’Ue», denunciano in una lettera 127 associazioni della società civile e sindacali.
Gli emendamenti proposti da Bruxelles legittimerebbero pratiche già adottate ad esempio da Facebook e Instagram, che da maggio utilizzano i post degli utenti per alimentare i propri modelli di IA. Se l’allentamento Ue dovesse farsi strada, il consenso sarà considerato automatico, ma questo si potrà comunque sempre revocare espressamente (anche se la procedura da seguire non è sempre immediata). Prima di diventare legge, la mini-rivoluzione sul Gdpr dovrà essere approvata dai governi riuniti nel Consiglio e dagli eurodeputati. Proprio al Parlamento Ue si preannuncia una levata di scudi: liberali e socialisti (due delle tre gambe dell’euro-maggioranza) hanno avvertito von der Leyen che l’Omnibus è «estremamente preoccupante», rappresenta una nuova capitolazione a Trump e rischia una forte opposizione in aula.