ilgiornale.it, 16 novembre 2025
Exor nelle curve per i due quotidiani
Pare si stia affollando il parterre dei possibili pretendenti a ciò che resta dell’ex impero editoriale di Gedi, controllata da Exor. L’ex corazzata Repubblica e le radio (uniche a fare utili) in trattativa da tempo con il magnate greco Theodore Kiryakou in asse con il principe saudita Mohammed bin Salman al Saud, e la cui esclusiva, secondo il Domani, scadrà a fine novembre. La Stampa con il dossier in mano alla Nem di Enrico Marchi che sta svolgendo la due diligence sui conti. E poi ecco spuntare anche il rampollo di Luxottica, Leonardo Maria del Vecchio cui si attribuisce interesse a Repubblica. E voci che parlano di una cordata piemontese che si starebbe costruendo.
Qualcuno ha tirato in ballo anche Francesco Gaetano Caltagirone a cui manca un quotidiano del Nord-Ovest, ruolo che La Stampa pur regionale, ma a caratura nazionale assolverebbe. Per ora solo voci, indiscrezioni, rumors e tanti no comment.
Chiunque – a maggior ragione gli imprenditori interessati all’editoria, in crisi strutturale da oltre 15 anni con copie cartacee che crollano del 10% l’anno e non certo sostituite dal digitale che non fa margini – sa perfettamente che con i giornali non si fanno soldi. O meglio, si deve continuare a lavorare per minimizzare se possibile le perdite. Certo c’è un beneficio indiretto e non contabilizzabile dal possesso della stampa. Convogliare l’opinione pubblica, interdire, influenzare, e fare da custode ai business (quelli assai più ricchi) dell’editore di turno.
Ma ormai il tempo del blasone da editore impuro è finito. Perché come sa bene John Elkann, che vuole chiudere definitivamente la sua avventura da principe della stampa, dopo aver incamerato con Gedi ben mezzo miliardo di perdite nette dalla data del primo acquisto dalla famiglia De Benedetti nel 2019. Ormai se vuoi fare l’editore i conti devono tornare, altrimenti poi farai fatica a uscirne senza danni. E così come in tutte le trattative (e ancor più per i giornali) alla fine conta solo il prezzo. Tutto ora si riduce a quel numero e, per quel che si sa, il divario tra le offerte e la richiesta per lo spezzatino Gedi è ampio, molto ampio. Tanto che la soluzione prenderà più tempo del previsto.
Elkann ha messo sul piatto 203 milioni per portarsi a casa Gedi tra il 2019 e il 2020. Oggi Repubblica e La Stampa sono in carico come valore delle testate a 72 milioni. Per non uscire dal business con un’altra svalutazione finale, il dominus di Exor vuole più di 200 milioni per la cessione del tutto per chiudere con un pari e patta la disastrosa campagna da editore in Italia. Peccato che i desiderata di Elkann cozzino pesantemente con la realtà dei numeri nudi e crudi.
Il fatturato 2024 di Gedi News Network, la società che ha in pancia Repubblica e La Stampa, è stato di 223 milioni con perdite nette per 15 milioni. Le copie vendute, nel frattempo crollate ancora per tutto il 2025, hanno prodotto per le due testate solo 119 milioni di ricavi con la pubblicità a fare il resto. Il costo del lavoro si porta via da solo 85 milioni per 700 dipendenti, poco meno del 30% dei ricavi. I costi dei servizi e altre spese superano i ricavi costantemente nel tempo. E le perdite sono di fatto inevitabili. Per la Stampa fonti vicine al dossier parlano di una richiesta Exor di 70 milioni, mentre per Repubblica e le radio di 160 milioni.
Nem, che sta guardando i numeri, valuta La Stampa non più di 35-40 milioni. In fondo sborsò nel 2023 35 milioni per comprarsi le sette testate venete e friulane ex Gedi, che per copie vendute eguagliano se non superano quelle del giornale di Torino. E si fa fatica a tenere il passo, dato che nei due mesi del 2023 di gestione Nem le perdite superarono 4 milioni.
Per l’intero 2024 è andata meglio con ricavi da vendite e pubblicità per 45 milioni cui si sommano contributi per arrivare a 48 milioni con una perdita netta limitata a poco più di 130 mila euro. Il tutto ricorrendo a tagli con prepensionamenti di grafici e giornalisti.
Ma se tutto sommato si è trovato un equilibrio precario con i quotidiani Gedi del Nord-Est, pensano in Veneto, portarsi a casa La Stampa con le perdite che sicuramente ci saranno anche nel 2025 rischia di pesare troppo.
Idem per Repubblica e le radio ambite dalla famiglia Kiryakou, ma non certo a qualsiasi prezzo. Sembra anzi di capire che per il gruppo di giornali e radio del piccolo colosso greco (che però fa i soldi veri con la holding finanziaria londinese K Group partecipata dal fondo saudita Pif e con un investimento da un miliardo del Qatar) solo le radio hanno senso. In quel cespite è rimasto da anni l’unico valore spendibile di Gedi: con 60 milioni di ricavi Radio Capital, Dee Jay, e M20 portano nella holding di controllo 10 milioni di utili netti l’anno. Ma Elkann vuole cedere tutto il pacchetto radio e Repubblica compresa, e dunque qui si apre un problema.
In fondo per stabilire valori realistici basterebbe guardare ai competitor, in particolare, Rcs che continua a produrre profitti anche con ricavi calanti. In Borsa Rcs è valutata intorno a 500 milioni con un fatturato di 820 milioni e utili per 62 milioni nel 2024.
Repubblica non fa utili, produce perdite da anni e fattura poco meno di 150 milioni. Per solo senso logico e scontando la non profittabilità, non dovrebbe valere più di 75 milioni. E per La Stampa con i suoi 70 milioni di ricavi il valore potrebbe aggirarsi sui 35 milioni, scontando anche qui il bilancio in rosso.
Come si vede tra gli oltre 200 milioni pretesi dal leader di casa Agnelli-Elkann e i 100-110 milioni che verrebbero proposti dagli offerenti c’è un abisso.
Sono solo le radio il grimaldello rimasto in mano a Exor per provare a strappare verso l’alto sul prezzo.
Ma con ogni probabilità la lusinga radiofonica non basterà a convincere i pretendenti al grande passo.