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 2025  novembre 16 Domenica calendario

Tra algoritmi e major. C’è una compagnia che difende l’italianità della nostra musica

Il punto di partenza è proprio questo: “Se non ci fossimo noi, la quasi totalità della musica registrata in Italia sarebbe di fatto oggi gestita da operatori stranieri”. Lo spiega Federico Montesanto, ceo di Pirames International mentre passeggia nei suoi nuovi uffici di via Brembo a Milano. Detto così, il suo sembra l’annuncio squisitamente economico del capo di un “aggregatore” (per capirci, “un servizio che aiuta gli artisti a distribuire la loro musica su piattaforme di streaming e negozi online").
In realtà è una riflessione che ha un valore culturale magari difficile da comprendere perché estremamente settoriale, ma è assai significativa. Nel panorama musicale italiano, sia le major, ossia Warner, Sony Music e Universal, che gli altri aggregatori digitali indipendenti (i principali sono controllati dalle stesse major) che veicolano la musica sulle piattaforme digitali, gestiscono il controllo dei cataloghi sostanzialmente dall’estero. Spieghiamoci. Hanno sedi e personale molto competente in Italia ma, giocoforza, riferiscono alle case madri negli Stati Uniti o in altri Paesi. Nonostante le strategie “local” siano ovviamente molto attente ai gusti del pubblico territoriale e alla tutela del proprio catalogo, la centralità dell’azione operativa e di gestione e tutela dei repertori musicali (contratti con piattaforme digitali, delivery dei file musicali, incasso e rendicontazione dei proventi) avviene di fatto all’estero. Sia chiaro, non siamo più nell’epoca della contestazione purchessia alle multinazionali della musica, roba che soprattutto negli anni Ottanta e Novanta è stata al centro di molti dibattiti. In un mondo global e connesso all’istante, sono argomenti obsoleti. La tutela del gigantesco e preziosissimo patrimonio musicale italiano rimane quindi sostanzialmente un problema culturale che spesso passa sottotraccia ma, a ben pensarci, non è per nulla secondario.
In questo contesto rientra Pirames fondata vent’anni fa da un visionario come Federico Montesanto e che ora è l’unico aggregatore al mondo con la certificazione Iso/Iec 27001 (la norma internazionale che definisce i requisiti per i sistemi di gestione della sicurezza delle informazioni). Lui ricorda: “Nel luglio del 2005 al piano terra di un piccolo loft milanese, mi sono lanciato in questa avventura con solo 2000 euro, un portatile e una connessione da 4 Mb”. Oggi è una delle principali realtà indipendenti nel settore musicale, con una rete operativa che va dall’Europa agli Usa al’India, a Giappone collaborando con le principali piattaforme digitali. Ma cosa significa nel concreto? “Un aggregatore – spiega Montesanto – deve essenzialmente fare tre cose: tenere i rapporti con le principali piattaforme, curare il delivery diretto (ossia la trasmissione dei brani) e rendicontare quanto accade”. Un discorso complesso che comunque ormai interessa la quasi totalità degli artisti e dei musicisti. Grazie allo streaming, praticamente tutta la musica è disponibile contemporaneamente in tutto il mondo, e anche solo controllarne i flussi diventa uno sforzo titanico.
Anche per questo grandissimi artisti (ma non solo) sono entrati nell’orbita di Pirames, da Mina a Fabrizio De André, da Celentano a Morricone, Nicola Piovani, Fabio Concato, Ludovico Einaudi, Pfm, Fausto Leali e Franco Battiato. Spiega Montesanto, “noi abbiamo due milioni e mezzo di registrazioni, da quelle di Beniamino Gigli a quelle di Capo Plaza”. La gestione e l’attività di tutela del copyright di questi cataloghi (nei modi e nelle forme ovviamente definite dai rispettivi contratti), è gigantesca e pressoché infinita ed i casi di violazione sono i più disparati. “Si va davvero dai casi di pura omonimia, come quello della Mina giapponese che era nei profili della nostra Mina approfittando della sua popolarità per accrescere la propria, passando per quelli più comuni che riguardano utilizzazioni e sfruttamenti non autorizzati, fino ai nuovi illeciti operati tramite Ia generativa”.
Un mondo impensabile fino a pochi decenni fa ma che oggi diventa centrale anche sul pianeta musica che in Italia è un mercato di circa 7/8 miliardi l’anno ed è, non dimentichiamolo, “unico al mondo” e la cui tutela rientra nella tutela più generale del patrimonio culturale italiano. “Ma è difficile spiegarlo alla politica – dice Montesanto -. All’estero tutelano le loro eccellenze, in Italia almeno da questo punto di vista non ancora”. Ma cosa bisognerebbe fare? “Penso a una sorta di tutela di Stato, che non saprei come tradurre praticamente, bisognerebbe confrontarsi di più e trovare la misura giusta”. E certamente non è facile anche perché si tratta di sistemi e linguaggi che richiedono estrema specializzazione.
"Ogni giorno da noi vengono gestite 20 miliardi di celle di informazione” aggiunge Montesanto, che si considera “un artigiano” ma che ha preso così sul serio questa battaglia da aver rinunciato a molte offerte di colossi stranieri. “Hanno provato a comprarmi”, conferma. Ogni tanto la passione riesce ancora a resistere alle gomitate del profitto.