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 2025  novembre 16 Domenica calendario

Intervista a Teresa Saponangelo

D’impatto. Occhi, sorriso, abbigliamento, tono della voce, capelli raccolti, non gridano. Piuttosto accarezzano le emozioni, poi seguono le parole e i concetti
Nella sostanza. Sa da dove viene (“ero una scugnizza”), conosce il suo percorso, il perché, il percome (“ai David ho ringraziato la mia famiglia, pure sul piano economico”); comprende le logiche del cinema, della vita.
Alla fine Teresa Saponangelo è tosta oltre ogni apparenza, ha in sé l’Eduardo De Filippo, solido, drammatico e infinito dell’“addá passá ’a nuttata”.
E ora è impegnata con le prove di uno spettacolo di De Filippo, Sabato, domenica e lunedì, in scena all’Argentina di Roma a partire dal 25 novembre (“la compagnia è stupenda, mi raccomando lo scriva”).
Oggi è una star.
Dopo il film di Sorrentino mi è arrivata un’attenzione enorme…
Bene, no?
Sì, ma quando parlo ho imparato a stare attenta, a non offendere nessuno, a evitare certe polemiche.
Una polemica se la conceda…
(Gli occhi brillano) Durante la promozione dei film c’è l’abitudine a spingere i protagonisti, mentre sparisce il resto del cast. È una scorrettezza assoluta.
Ribadiamo: è una big.
Una bigghina.
Da acclamata ma non conosciutissima a big, i “panni” sono a volte scomodi?
Preferisco l’attimo prima del “riconosciuta” perché ti lascia quello spazio per conquistare una fetta di pubblico, per incuriosire, per scegliere i progetti gusti.
Al Fatto anni fa ha dichiarato: non mi rivedo mai. Ora?
Continuo a evitare; forse solo qualche film come Tutto l’amore che c’è (di Sergio Rubini); più volte È stata la mano di Dio (Paolo Sorrentino) e Il buco in testa di Capuano.
Si guarda come “terza”?
Nelle esperienza giovanili sono critica per come mi muovevo, come urlavo…
È nel Medico in famiglia.
(Immediata) Quello mai.
Perché?
Con le fiction è complicato: lì uno non si piace mai per come si è truccati, come si è vestiti, le luci. Neanche le foto, alcune sono orrende. È uno choc.
Accettava per fare esperienza o cassa?
Quale cassa? Erano poche pose; era solo per esperienza.
E conoscere.
Sulle pubbliche relazioni sono sempre stata un disastro.
Non va alle feste.
Al massimo le organizzo a casa mia, ma niente inviti mirati, solo affetti.
Sa disprezzare.
Assolutamente, è importante.
Come indignarsi.
Capita troppo poco.
Chi sa indignarsi?
Antonio Capuano. Anzi, lui a volte troppo.
Il però?
Almeno esprime quello che pensa.
Con gli anni non si è calmato?
Zero. Anche nell’ultimo set ha dato prova di sé, poi alterna momenti di grande dolcezza a grandi incazzature. Ed è bello.
Sul set con lei urla?
Poco, ci vogliamo troppo bene, comunque manda affanculo facilmente.
Si sente schiacciato da Sorrentino?
Sorrentino lo ha indicato come suo maestro.
Però tutti gli chiedono di Sorrentino vista la citazione in È stata la mano di Dio.
È lusingato, del resto se ne frega; (pausa) uno che sapeva indignarsi era Eduardo De Filippo, basta leggere le sue lettere, la critica, la durezza verso la politica.
Cosa la indigna?
L’ignoranza e il fingere interesse come avviene con questa classe politica.
Vota?
Sempre, salto solo qualche referendum, dove non capisco e dove penso non sia compito nostro decidere (sbircia l’orologio, controlla quanto manca alle prove).
Le piacciono le prove?
Tanto, anche se sono faticosissime: stai ore e ore in teatro e ogni giorno devi far uscire qualcosa di creativo o almeno di utile.
Se non ci riesce come torna a casa?
Frustrata; però è troppo bello stare lì, truccarti e pettinarti da solo. Prenderti la responsabilità di tutto.
Si trucca e pettina da sola?
In teatro funziona così: prendi cura del tuo personaggio. E il camerino diventa una stanza di casa, lo si personalizza; poi amo condividere il tempo con la compagnia e questa compagnia è veramente bella e Luca De Fusco (il regista) mi ha dato una grande occasione.
Testo di Eduardo.
I suoi lavori sono atemporali e riempiono i teatri di tutta Italia.
Il Goldoni del 900.
Per entrare in Accademia devi portare un testo in lingua italiana, non sono accettati i dialetti, tranne per Goldoni, Pirandello e De Filippo.
Teme mai un collega?
Ho del timore reverenziale verso i colleghi che hanno maggiore dimestichezza del palco.
Fa teatro da 30 e passa anni.
Sì, ma anche il teatro è una pratica e si vede chi lo vive tutti i giorni e chi più saltuariamente. È come la palestra.
Si sente ospite.
All’inizio, poi si prende confidenza.
A ego come sta?
Non lo so, perché?
È sotto controllo?
Sono critica, non abbagliata. Non penso mai: “Oh, arrivo io”.
Proprio, mai?
Solo se qualcuno tenta di schiacciarmi.
Quindi ci provano.
Tentano di tenerti tranquilla.
I colleghi maschi o le donne?
Gli uomini entrano in competizione.
Stupita?
Sì, perché ho un atteggiamento che può trarre in inganno: sono tranquilla, ma come forma di collaborazione cerco di lanciare sempre delle proposte, forse pure troppo.
Quindi?
Posso suscitare dei sospetti, possono non fidarsi; (alza di un tono) il mio lavoro deve basarsi sulla collaborazione.
Vuole diventare regista?
Non ho tale ambizione: la regia è troppo complicata.
Quale regista ha tirato fuori il meglio di lei?
Capuano: se sono così, con le mie caratteristiche, con la mia libertà, il mio atteggiamento critico, lo devo a lui.
Stupita di dov’è arrivata?
No, poi è vero un dato: se non avessi partecipato al film di Sorrentino, avrei ottenuto di meno.
Il David vinto quanto è contato?
Più il film e l’essere stata vista da tutti; del Donatello ci si può dimenticare, del film no.
Si ricorda il discorso con la statuetta in mano?
Ho ringraziato la mia famiglia pure per il sostegno economico. In tanti hanno lasciato questo lavoro perché non potevano permetterselo.
Molti suoi colleghi si vergognano dei momenti di bassa.
È un valore aggiunto, non avrei mai voluto essere una figlia d’arte: è un limite per il pregiudizio.
Il vantaggio della fama.
Poter scegliere. Oddio in realtà ho sempre scelto, escluse due o tre cacchette.
Mannaggia.
Mandano in onda pure le repliche; (silenzio) oggi posso scegliere cosa ha senso raccontare.
Però quelle cacchette.
Dovevo accettare, non potevo fare altrimenti.
Quanto contano gli agenti?
La mia, Gioia Levi, è stata importantissima: in un momento difficile, durante la separazione, mi ha suggerito di non lavorare, ed è stato un atteggiamento da amica, non da agente. Secondo lei dovevo stare vicina a mio figlio, non partire. Poi mi ha consigliato un lavoro, in tutti i modi, mi ha quasi perseguitata per tre giorni, a tutte le ore. Aveva ragione.
Lei è testona.
Se penso che la mia scelta può tradire un percorso o una persona, mi blocco; non posso tradire il mio passato, da dove sono venuta.

Gli uomini o le donne si avvicinano in quanto personaggio e non persona?
Un fidanzato un giorno mi ha detto: “Come è bello stare con un’attrice”.
Brutto.
Un paio di volte questo dubbio mi ha avvolto.
Si è sentita una tacca.
No, una porta che dà accesso a un mondo sconosciuto. Quel fidanzato l’ho lasciato.
Spesso ci si fidanza tra attori.
Io solo una volta, da giovanissima. Troppo complicato.
Per l’ego?
No, per la fragilità; gli uomini attori sono quelli più preoccupati per il successo, la realizzazione, l’essere riconosciuti.
Gli uomini sono i più angosciati dalle scene d’amore.
Oggi c’è questa forma di perbenismo secondo la quale non si deve far vedere nulla e si è tutti esageratamente preoccupati.

È una protezione.
Sul set è complicato capire qual è il confine tra la morbosità del regista e la necessità della scena. E su questo è difficile il controllo.
La conosce quella morbosità?
Da giovane, un paio di volte, ho avvertito la morbosità dello sguardo maschile.
Del regista o dell’attore?
Del regista. Ma da quello sguardo lì come ti proteggi? La morbosità consisteva in un tempo più lungo di girato, in una eccessiva violenza, ma sono registri sottili.
E lei?
Una volta mi venne da piangere sul set…
Ma?
È esattamente la stessa storia della strada: se la vivi impari a proteggerti, se sei sempre ovattato non lo capirai mai; (pausa) il corpo nudo fa parte del processo creativo, è un corpo artistico.

Va bene.
Oggi è tutto troppo casto, fanno l’amore vestiti, scene finte. Allora meglio non girarle.

Sì, pronta per la regia.
Non sono capace. Ho altri obiettivi.
Quali?
Intanto fare bene Sabato, domenica e lunedì.
Magari un altro David.
Speriamo! L’isola di Andrea mi è piaciuto tanto e Vinicio (Marchioni) è bravissimo: non ha paura di mettersi in gioco ed è rispettoso, non sgomita.
Nel film Marchioni balbetta.
Perché quando Antonio lo ha sentito parlare gli ha detto: “Non correggerti è così bello”. E Vinicio: “Anto’, da anni cerco di correggere la balbuzie e poi arrivi tu e mi dici che è così bello?”.
Si è imborghesita?
(Pausa) Ero più scugnizza.
Quanto scugnizza?
Proprio tanto. Tra la palestra di judo e le vie alle spalle di piazza del Plebiscito.
Amici che si sono persi?
Tanti, era il periodo dell’eroina. Ma ha rischiato più mio fratello: lo ha salvato il modello incarnato dal nonno, impegnato in una società mercantile. Si è imbarcato a sedici anni.
Il suo modello?
Subito il teatro.
Lei chi è?
Devo rispondere?
Come vuole.
Allora sono un’entusiasta.