il Fatto Quotidiano, 16 novembre 2025
Ritratto del “professor Epstein”: da Brooklyn alla potente New York City anni ’80
Una passione sfrenata per i ricchi e potenti. La tendenza a navigare sul confine labile tra lecito e illecito. L’attrazione per ragazze spesso troppo giovani. Sono le costanti della vita turbolenta, sfarzosa, sprezzante, tragica di Jeffrey Epstein. La sua storia ha tutti gli elementi del “grande romanzo americano”. L’ascesa sociale. I soldi. La politica. Il sesso. La caduta. Solo che non si tratta di fiction ma di un pezzo di vita vera, a dimostrazione di come la realtà, in America, sia spesso più forte e perentoria di qualsiasi immagine e aspettativa.
Le ventimila pagine di e-mail di Epstein, pubblicate in settimana, mostrano anzitutto una cosa. Anche nei momenti più difficili, Epstein è rimasto un uomo di potere, al centro di un ampio network di politici, giornalisti, affaristi che si rivolgevano a lui con attenzione e rispetto. È un mondo lontanissimo da quello della Brooklyn piccolo borghese, operaia, ebraica in cui Epstein – o bear, orso, come lo chiamavano in famiglia – nasce nel gennaio 1953. La madre Paula è segretaria in una scuola. Il padre Seymour fa il giardiniere. Ai molti giornalisti che in questi anni sono calati in zona per raccontare il giovane Epstein, vecchi amici e conoscenti hanno offerto un’immagine diversa dall’avventuriero che verrà.
E cioè quella di un ragazzo gentile, “molto intelligente in matematica, leggermente sovrappeso, lentigginoso, sempre sorridente”, ha raccontato un’amica di quegli anni. Epstein frequenta la scuola pubblica, sceglie matematica all’università, non si laurea. Nel 1974, viene assunto come prof di matematica dalla prestigiosa Dalton School dell’Upper East Side, frequentata dai rampolli di banchieri e finanzieri. Dura solo due anni. Un po’ perché non ha i titoli per insegnare, un po’ perché mostra un’attenzione troppo marcata per le sue allieve, arrivando a presentarsi, disinvolto e sornione, alle festicciole di classe. Lo allontanano con una formula vaga: “poor performance”, scarso rendimento. Nei due anni alla Dalton, Epstein riesce però a entrare nelle grazie del padre di una delle sue studentesse, Alan Greenberg, Ceo della banca d’investimento Bear Stearns. Quando la Dalton caccia Epstein, Greenberg gli offre un lavoro. Julien Sorel newyorkese e novecentesco, Epstein inizia così la sua ascesa.
Nel giro di quattro anni, è già partner di Bear Stearns. Licenziato per una violazione delle regole Sec sulla vendita di securities, mette su una propria società, l’Intercontinental Assets Group, dove, spiega, fa “il cacciatore di taglie”. Il suo lavoro è aiutare i clienti a recuperare denaro rubato da broker, avvocati, banche. Stringe relazioni con alcuni dei potenti di Wall Street: Steven Hoffenberg, Leon Black, Leslie Wexner, che gli mette in mano la gestione della sua immensa fortuna. Racconta anche, ma non ci sono le prove, di essere una spia. In effetti, per un certo periodo esibisce un passaporto austriaco con la sua foto, un nome falso e l’Arabia Saudita come luogo di residenza. Diventa sempre più ricco. Prima di morire suicida in carcere, il 10 agosto 2019, Epstein risulta possedere: una mansion nell’Uppers East Side; una grande proprietà a Palm Beach; un ranch in New Mexico; due jet personali; un’isola nei Caraibi; un appartamento in Avenue Foch a Parigi; quindici auto di lusso; statue africane, dipinti, tappeti, una scrivania tutta in oro appartenuta a JP Morgan.
È New York anni Ottanta il palcoscenico della sua scalata. Dopo i penitenziali Settanta, non ancora colpita dall’epidemia dell’Aids, la città esplode di vita, desiderio, trasgressione, tra finanzieri alla Gordon Gekko, notti al Limelight e una nuova leva di artisti, da Jean-Michel Basquiat a Keith Haring a Kenny Scharf, che trasferiscono nelle loro opere il battito disordinato e vitale delle strade. Jeffrey Epstein e Donald Trump si conoscono allora. Hanno molto in comune. Sono newyorkesi, sono ricchi, hanno casa in Florida, mostrano un deciso penchant ma pochissimo rispetto per le donne – se Epstein è stato arrestato per sesso con minori, Trump ha dovuto affrontare in questi anni 28 accuse da parte di donne per stupri e palpeggiamenti vari. I due diventano inseparabili. Li si vede insieme al Trump Plaza and Casino di Atlantic City. Alle feste, quando c’è uno c’è anche l’altro. Trump usa l’aereo personale di Epstein per spostarsi (su quel jet ci sarebbe stato il primo rapporto sessuale con la futura moglie Melania). Per il compleanno di Epstein (ma Trump nega), il presidente disegna una donna nuda con la firma “Donald” al posto della vagina. È un rapporto lungo, stretto, che si chiude tra insulti e recriminazioni intorno al 2004. Trump chiamerà Epstein “viscido”. Epstein dirà di Trump: “È la peggior persona che io conosca”.
Il presidente è comunque solo uno dei tanti volti che hanno accompagnato l’ascesa del finanziere newyorkese. Il catalogo è immenso, comprende Democratici e Repubblicani, banchieri e scienziati, giornalisti e profeti di Silicon Valley, regnanti e avvocati – Bill Clinton, l’ex principe Andrea, Woody Allen, Noam Chomsky, Nicholas Sarkozy, Steve Bannon, il fisico Lawrence Krauss, il presidente di Harvard Lawrence Summers, Bill Gates, Peter Thiel, Michael Wolf, Alan Dershowitz – segno di una vis sociale che oltrepassava appartenenze politiche e visioni del mondo per andare al sodo di tutto. Il potere. È un’ascesa che subisce un primo stop nel 2008, quando Epstein viene incriminato per aver fatto sesso con ragazzine dai 14 ai 16 anni. E poi ancora nel 2019, quando viene arrestato con la stessa accusa e per lui si materializza il carcere. Gli ultimi giorni li passa in cella, agitato, incapace di prender sonno, costretto a rivolgersi a un analista, comunque combattivo – è verso la fine che dice esser l’unico “in grado di abbattere” Trump – forse incredulo di fronte alla sua caduta. Quella caduta del Sogno, la caduta di ambizioni e speranze, la caduta di una vita tesa a potere e successo, è del resto ciò che rende ancora più americana la storia già così americana di Epstein.