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 2025  novembre 15 Sabato calendario

Se l’amica è l’Ai

Dai numeri si può imparare e certamente s’impara molto dai dati relativi alla ricerca sugli adolescenti italiani resa nota ieri da Save the Children. Non c’è niente di automatico nell’apprendimento, possiamo guardare i numeri e dimenticarli, leggerli senza capire; possiamo cercare conferme alle nostre convinzioni o al contrario leggerli allarmarti per poi rimuoverli. La cosa certa è che per imparare non si deve andare di fretta: rilanciare cifre tirando in ballo l’affermazione della tecnica sulla sfera umana, la solitudine, i cellulari e il disagio, non è un buon modo per capire numeri sui quali, invece, dovremmo riflettere perché non riguardano solo “i nostri ragazzi” o “le nostre ragazze” ma noi.
Noi che abbiamo costruito il mondo nel quale si muovono, le idee con le quali si confrontano, i modelli a cui ambire e quelli dai quali rifuggire; gli stereotipi che ingombrano il loro immaginario, le paure che circolano e diventano angosce, il vuoto nelle relazioni e il pieno delle cose da consumare; lo sguardo sul corpo che può diventare ossessione così diverso tra ragazze e ragazzi, come la soddisfazione di sé. Soprattutto, abbiamo creato noi un tempo che non c’è mai, un tempo per la condivisione da strappare a fatica, con le unghie e i denti al resto, qualunque cosa sia questo resto. Poi, certo, abbiamo creato anche i dispositivi nei quali cascano e l’intelligenza artificiale, ma vanno messi in coda se abbiamo davvero interesse a capire cosa ci restituisce questo viaggio nell’adolescenza che i numeri raccontano.
Cominciamo dal più eclatante, ossia l’uso dell’Ai: non sorprende che il 92,5% dei ragazzi e delle ragazze tra i 15 e i 19 anni lo utilizzino in modo non episodico ma settimanale (43,3%) o quotidiano (30,9%) e che quest’uso doppi quello che ne fanno gli adulti (46,7%).
Apprendiamo, però, che la ragione per la quale si rivolgono a ChatGPT e simili non riguarda solo la ricerca di informazioni e l’aiuto nello studio e nei compiti – traduzioni, scrittura di testi – e nemmeno i giochi. L’interazione riguarda altri piani: la vita, le relazioni, le scelte sentimentali. Il 41,8% ricorre all’Ai quando è in difficoltà, quando salgono l’ansia e la tristezza. Le ragioni di questa scelta sono indicate in modo chiaro: la prima è la disponibilità (14,5%), la macchina risponde sempre; non è occupata, non ha da fare, non delude mai: ti tratta bene e soprattutto non ti giudica (12,4%). Meglio rivolgersi a lei che agli esseri umani conclude il 63,5%.
Il malessere denunciato non colpisce nello stesso modo se si guarda al genere: solo la metà delle ragazze si dichiara soddisfatta di sé, mentre valore maschile corrispondente è il 71% – percentuale è salita di oltre 10 punti rispetto al 2007. Solo una su tre valuta positivamente il proprio equilibrio psicologico, contro il 66% dei ragazzi: si registra, qui, la più ampia differenza di genere tra tutti i Paesi europei; il nodo più importante è il rapporto con il corpo: due su cinque si considerano sovrappeso, indipendentemente dall’indice effettivo di massa corporea.
Intelligenza artificiale a parte, i ragazzi hanno un rapporto molto stretto con i dispositivi, li usano mentre stanno con gli amici (38%) e si sentono a disagio se ne sono privati (27%):
la ricerca non mostra dati comparativi ma esperienza e autovalutazione suggeriscono che un’eventuale comparazione con gli adulti sarebbe a svantaggio di questi ultimi, ben più iperconnessi.
Ma l’altra vita dei ragazzi? Quella fuori dalla dimensione virtuale? Nel 2024 un adolescente su due non è mai entrato in un museo o in una mostra (60% nel Mezzogiorno), meno della metà ha fatto una gita o una vacanza contro l’81% degli spagnoli e il 90% degli olandesi, ma soprattutto, legge uno su due: solo il 46% si accosta a libri oltre la scuola.
Il quadro che emerge è articolato. Ma non vi è dubbio sul fatto che la ricerca mostra un bisogno di relazione che non trova risposta e che non rinvia alle loro fragilità ma alle nostre. Il rapporto parla di scuole e biblioteche che andrebbero tenute aperte, di una vita associativa povera e di disagi non visti e non ascoltatati, certo. Ma parla anche, soprattutto, di una disponibilità emotiva che non abbiamo più e che è necessario ritrovare.