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 2025  novembre 16 Domenica calendario

Le ambizioni di Decaro, corsa solitaria in Puglia per battere l’astensione

Nella campagna brindisina di San Vito dei Normanni, mentre il piccolo Elio va in giro in cerca di erbe buone da estirpare, Antonio Decaro ricorda le sue “battute” infantili a caccia di cicorielle, o sivoni. «Oppure, se aveva piovuto, di lumache. Le portavamo alla nonna che le metteva a spurgare e il giorno dopo avevamo le escargot». Il candidato del centrosinistra gira la Puglia da settimane. Sa di non avere rivali, anche se non lo ammette. Sa che il candidato del centrodestra Luigi Lobuono sembra lì apposta per non dar fastidio. Lo sanno anche i suoi avversari, che mugugnano contro il civico vicino a Forza Italia: un politico avrebbe potuto fare di più. Ma nessuno ci crede davvero. Decaro è un predestinato. Chiunque, a Bari, racconta delle ali di folla che si formano al suo solo passare sul corso. Perfino durante la festa di San Nicola. E allora perché attraversare la Puglia dal capoluogo a Lecce e ritorno in un giorno solo? Perché incontrare sindaci, associazioni, sindacati, imprenditori, agricoltori biologici, cooperative sociali come in questo posto magico in mezzo a ettari di ulivo e di vigneti inondati dal sole, se è già tutto deciso?
«Perché non lo è», dice il candidato, più cauto di chi lo circonda. «Lo ripeto da mesi: bisogna andare a votare. È un diritto che i nostri nonni hanno conquistato dando anche la vita. Non è che se vai al ristorante, lasci che a ordinare per te sia qualcuno due tavoli più in là». In mancanza di avversari, Decaro se n’è scelto uno difficile: l’apatia. L’ultimo spot ideato dall’agenzia Proforma – una delle chiavi della sua popolarità – lo mostra al bar, a comprare una giacca o in taxi, mentre altri scelgono per lui. Per poi fargli ricordare che bisogna andare alle urne domenica, se si vuole essere artefici del proprio destino.
L’obiettivo – secondo i sondaggi lontano – è che votino almeno la metà dei pugliesi. È almeno lì che bisogna stare, per sentirsi legittimati davvero. Chi lo conosce, ha lavorato al suo fianco e sa leggerne le mosse, pensa che in quest’ambizione c’entri il livello nazionale. Con una vittoria sopra il 60% e un buon numero di votanti, il Pd non potrà ignorare – se continuerà la ricerca di un candidato premier alternativo a Schlein – un amministratore che ha già intorno a sé una rete ben rodata come quella dei sindaci, conquistati negli anni della presidenza Anci. Decaro sorride all’idea e la lascia passare come fosse un insetto fastidioso in mezzo all’erba alta. «Io davvero pensavo di non candidarmi, ho deciso dieci minuti prima di annunciarlo. Se non lo avessi fatto, mi sarei sentito un traditore».
C’entra il padre socialista, ferroviere, che gli ha chiesto: «Ma tu ti sei messo in testa di fare la carriera politica?». L’ex sindaco di Bari era a Bruxelles, pronto per fare il vicepresidente del Parlamento europeo e magari per dare battaglia al congresso del Pd. «Gli ho detto: forse sì. E lui: se vuoi fare carriera, torna a fare l’ingegnere. Ma se vuoi fare politica, devi ascoltare quello che ti chiede la gente». E quindi no, non era tattica o una certa mancanza di carattere e di visione che molti gli imputano, l’indecisione cui Decaro ha tenuta appesa la coalizione per tutta l’estate. E non era un capriccio, pretendere che nelle liste non ci fosse il predecessore e padre politico, Michele Emiliano: «Io a Michele voglio bene e gliel’ho spiegato mille volte. Non c’erano le condizioni». Lo dice poche ore prima di presentarsi al comizio di chiusura di un candidato vicino a Emiliano, Ubaldo Pagano, al Palamartino di Bari. Appare a sorpresa. Il presidente uscente lo abbraccia stringendogli il collo, come a volerlo strozzare. Ridono entrambi, consapevoli della sceneggiata cui hanno dato vita, mentre i fotografi scattano e le retrovie continuano a farsi la guerra voto per voto. I due si misureranno, conteranno le preferenze per i fedelissimi dell’uno e dell’altro – c’è anche una lista Decaro – e poi sigleranno un nuovo patto che potrebbe perfino vedere Emiliano assessore. Perché dev’essere chiaro che il bastone del comando è passato di mano.
Di questo si tratta, di cicli politici che si chiudono o che cominciano. Sullo sfondo c’è una Regione che dopo gli anni del “Rinascimento pugliese”– il termine coniato durante la prima giunta Vendola – sembra andare avanti per inerzia. L’entusiasmo di allora, quello che aveva portato tantissimi ragazzi a scegliere di tornare in Puglia per disegnarne un volto completamente nuovo, si è spento. O fa fatica a resistere. Marco Notarnicola arriva da lì: da quel programma ideato nel 2005 dall’ex sindaco di Molfetta Guglielmo Minervini, Bollenti Spiriti, che aveva coinvolto i più giovani in iniziative di trasformazione sociale dando loro fondi e fiducia. Faceva parte della cooperativa che gestiva l’ExFadda di San Vito dei Normanni, poi lui e i suoi soci hanno partecipato a un bando per la gestione di un terreno confiscato alla mafia. Hanno studiato, hanno preso un agronomo, hanno sviluppato un’azienda – Xfarm – che si sostiene e ha ora dieci dipendenti. Producono vino, olio, uova – le galline scorrazzano libere all’ombra degli ulivi – ortaggi, ceci rossi, cime di cola. Fanno eventi, formazione, progettazione sociale. Seguono il modello Csa: gli abitanti pagano una quota, scelgono con loro ogni anno cosa produrre, ogni settimana ricevono a casa la loro cassetta di prodotti. Decaro ascolta per un’ora lui e gli altri che sono venuti da Noci, Putignano, Brindisi. Su ogni cosa ha una domanda tecnica: per Gianfranco Delfine che fornisce microorganismi che riqualificano il terreno; per Beatrice Greco che ha coinvolto le donne di un rifugio antiviolenza negli orti sociali di Noci; per Emilia Blasi che produce uva da tavola a Grottaglie; per Ester Caputi che si occupa di detenuti da inserire con misure alternative.
Attorno a lui ci sono persone che si sono laureate fuori, hanno fatto esperienze all’estero, come Emanuela Conversano della cooperativa Jazzile, ma che sono tornate perché credono in una Puglia diversa. E hanno il sogno di far coincidere agricoltura ed ecologia. Chiedono rappresentanza e sostegno. Soprattutto, vorrebbero che le istituzioni sposassero la loro visione in cui la biodiversità è il bene da cercare e la monocultura il male da evitare. Decaro non fa promesse, si impegna su quel che gli sembra fattibile, ma arrotola le maniche della camicia e dice:”Posso governare la Regione da qui?”. Dà l’idea di sentirsi a casa, di voler davvero vincere per restare. Silvio Maselli, che è stato suo assessore alla Cultura a Bari, dice che è sempre il più preparato nella stanza. Un ingegnere secchione, che ha già studiato tutti i dossier, dall’acqua che manca – sa dire a memoria in milioni di metri cubi quanti ne servono alla Puglia – all’Ilva «che il governo deve decidersi ad acquisire e decarbonizzare». Filippo Melchiorre, senatore barese di Fratelli d’Italia, dice che ha mille maschere. E non è certo che dopo il parricidio riuscirà ad andare fino in fondo «perché alla Regione non serve solo un amministratore, ma un politico con le idee chiare». Decaro non si mostra spaventato dall’impresa, ben sapendo che è un momento di crisi – post Pnrr – quello che l’aspetta. Nel frattempo, se riuscirà a risvegliare chi in Puglia non vota da tempo e la vittoria sarà davvero schiacciante, le sirene romane potrebbero tornare a cantare.