Corriere della Sera, 16 novembre 2025
Laura Chiatti: «Le mie fragilità»
«È la prima volta che ne parlo pubblicamente», dice Laura Chiatti, istintiva, non omologata, diretta come sempre. Sarà la madrina al Torino Film Festival che comincia il 21, ricco di stelle internazionali. Ma ha fatto sensazione l’aver svelato su Instagram, con la sua sincerità disarmante, un lato della sua vita che aveva mantenuto privato: «Convivo da due anni con l’ADHD, il disturbo di attenzione e iperattività, insieme a dislessia e disgrafia».
La ascoltiamo
«Ho sentito il bisogno, quasi il dovere di condividere questa cosa. La mente che corre, la fatica di seguire un discorso…Sapevo di avere qualcosa che funzionava in modo diverso. L’atto del recitare lascia spazio alla fragilità, alla fatica, alla verità più nuda. Ma dentro quella stanchezza c’è anche forza creativa, sensibilità. Non cerco comprensione ma parlo per chi si trova fuori ritmo. È un dialogo tra ciò che si vorrebbe essere e ciò che si riesce a fare».
Si spengono i riflettori e…
«Resto io, con tutte le mie sfumature. Ho imparato a riconoscere il mio valore, e non ho paura di mostrarmi fragile. Penso che la forza stia proprio nell’equilibrio tra queste due cose, valore e fragilità. E poi sono mamma, questo è il dono più grande che potessi ricevere dalla vita, perché mi rende immutata con e senza luce. Siamo fatti di luce e intermittenze, e proprio lì, a volte, c’è la parte più vera di noi».
Si sente insicura?
«Lo sono, per potermi mettere così in gioco. Magari scriverò una storia, quello sì che mi piacerebbe. Vorrei raccontare una storia che guardi il mondo attraverso gli occhi dei bambini, mi affascina la loro complessità emotiva, che tendiamo a sottovalutare perché non passa dal pensiero ma dal sentire. Ma è proprio lì, in quella sensibilità immediata, che si formano le prime ferite, le prime meraviglie, le prime domande».
Se ripensa a lei bambina?
«Mi rendo conto che c’era già un mondo interiore vastissimo, e forse scrivere quella storia sarebbe un modo per dare voce a quella parte di me che in realtà non è poi così cambiata. I miei maestri sono stati i miei figli, le mie maestre tutte le donne che mi hanno permesso il dialogo, la condivisione, il confronto».
Da adolescente cantava alle feste di piazza.
«Alle sagre andavo per la maggiore, quando riuscii a passare di grado col karaoke, si presentò Beppe Fiorello ma, con tutto il rispetto, volevo suo fratello, di cui da ragazzina ero perdutamente innamorata. Anni dopo glielo dissi in tv».
Era una ribelle.
«Diciamo che non sono una persona che riesce a sottostare a dinamiche ingiuste e soffocanti. Ho bisogno di spazi in cui la mia identità possa evolvere liberamente».
E al cinema come fa?
«Al cinema, e nella vita, l’autenticità ha un prezzo da pagare».
Veniamo a Torino.
«Una bella emozione, arriva in un momento della mia vita dove sento il bisogno di rimettermi in gioco. Una sfida personale, anche nell’affrontare ciò che per natura mi terrorizza, perché è un festival che ha una storia importante e un pubblico attento».
A Venezia, Emanuela Fanelli diceva: chiamatemi conduttrice. È così offensivo dire madrina?
«Non amo le definizioni, ogni donna è mille voci, una moltitudine come diceva la meravigliosa Michela Murgia. Sarò Laura, mi divertirò a condurre una serata importante».
Nel film di Fausto Brizzi entrerà nel mondo virtuale.
«In Quasi Vera sono la musa che rappresenta la seduzione, la consapevolezza, colei che introduce il protagonista al mondo virtuale. L’Intelligenza Artificiale può cambiare il modo di raccontare e perfino di creare volti e voci, ma non potrà mai sostituire la verità di uno sguardo o un’emozione vissuta. Piuttosto che temerla dobbiamo imparare a dialogarci, mantenendo però il cuore umano dell’arte».
Tra i suoi film internazionali ci fu Sofia Coppola.
«Somewhere fu un’esperienza surreale, quando mi chiamò pensai che mi avesse confusa con una mia collega che era seduta accanto a me. Sul set mi sentivo piccola, fragile, persa in un contesto enorme, non parlavo inglese malgrado per mesi, prima delle riprese, avessi studiato con un coach. Sofia è stata dolce, mi ha fatto sentire protetta. Una lezione di umanità, prima che di cinema»