Corriere della Sera, 16 novembre 2025
Americani alle prese con i rincari della spesa. Così il presidente difende il consenso
Non si capisce il taglio dei dazi firmato da Donald Trump venerdì sera senza una legge non scritta degli Stati Uniti di questi anni: i miliardari pagano per le elezioni, ma i poveri votano. E sono di più. Ogni presidente americano è dunque spinto a prendere decisioni a favore dei primi, ma a coltivare il consenso dei secondi.
Tutto questo in Trump, come ogni cosa lo riguardi, si ingigantisce al parossismo. Il ciclo elettorale di un anno fa ha stracciato ogni record, con donazioni ai candidati per quasi sedici miliardi di dollari. Uno ogni sei di questi dollari è arrivato ai politici da appena un centinaio di famiglie di miliardari i cui contributi – stima l’associazione American for Tax Fairness – è quasi triplicato rispetto al ciclo elettorale del 2020. Solo i versamenti di Elon Musk alla campagna Trump sono stati quattro volte più delle tasse che l’uomo più ricco del mondo ha pagato fra il 2013 e il 2018 al governo federale; ma nel complesso i sette donatori miliardari più generosi verso i politici si sono impegnati a favore dell’attuale presidente, così come è successo con quasi i tre quarti di tutto il denaro pagato dalle cento famiglie. Quanto al «dark money» – i contributi di nomi coperti, oggi possibili senza limiti grazie a una sentenza della Corte suprema – alle elezioni del 2024 ha raggiunto quota 1,9 miliardi.
Normale, data la distribuzione della ricchezza negli Stati Uniti. Oggi quella cumulata dell’uno per mille più facoltoso, stima la Federal Reserve di St. Louis, è oltre cinque volte più vasta di quella della metà meno abbiente della popolazione. Ed è fortemente investita nelle otto mega-aziende – da Nvidia e Microsoft, fino a Oracle – che stanno trascinando Wall Street grazie il boom di borsa dell’intelligenza artificiale.
Gli effetti di questo peculiare equilibrio si sono visti fin dalle prime mosse di Trump. Il presidente ha stretto un’alleanza con i leader delle Big Tech, al punto che a Washington si parla ormai di mettere sotto sanzioni i funzionari di Bruxelles che dovessero multare quei gruppi per qualche violazione di mercato. E i tagli alle tasse dello «One Big Beautiful Bill» approvato in estate aumentano del 3,7% il reddito del quinto più benestante degli americani – secondo le stime del Washington Center for Equitable Growth – finanziandosi (in parte) con tagli al sostegno sanitario e alimentare ai poveri. Che vedranno il loro reddito ridursi di altrettanto.
L’America, già da prima così diseguale, lo sta diventando talmente di più con Trump che la crescita del prodotto lordo, da sola, non riflette il benessere reale di molte decine di milioni di elettori.
I dazi e i loro effetti entrano in scena qui. Malgrado la retorica opposta degli alleati del presidente, stanno generando nuova inflazione. Già questo è tossico per la popolarità di un leader che in campagna elettorale aveva attaccato Joe Biden e poi Kamala Harris per il carovita dei loro anni alla Casa Bianca. Peggio ancora, gli aumenti di prezzo dei beni importati si concentrano sui beni che portano via gran parte dei redditi di chi in America guadagna meno: carni, pesce, pollo e uova più 5,2% in un anno (secondo il Bureau of Labor Statistics); bevande non alcoliche più 5,3%, tabacco più 6,9%.
Le conseguenze, per Donald Trump, non potevano tardare. L’uno per mille più ricco della popolazione deve aver guadagnato oltre mille miliardi di dollari in Borsa da gennaio, grazie all’aumento di valore di Nvidia e le sue sette sorelle. Intanto l’Università del Michigan fotografa un crollo del sentiment (umore) dei consumatori del 30% in un anno: ovviamente trainato dalla metà degli americani che non hanno o quasi risparmi investiti, ma semmai solo debiti, quindi non beneficiano delle migliaia di miliardi creati a Wall Street da gennaio. Coca Cola introduce in America «mini-lattine» sfuse per intercettare i consumatori in difficoltà, McDonald parla di clientela «biforcata» fra chi ha e chi non ha.
Trump aveva incassato i voti di molti di questi ultimi, ma non sta restituendo il favore: di qui le recenti sconfitte elettorali in Virginia, New Jersey e a New York e una popolarità persino sotto a quella di Biden. Il taglio dei dazi di venerdì notte si spiega così. Il presidente dagli istinti autoritari di una repubblica sempre più plutocratica cerca di rendere meno care le derrate importate per la povera gente, in gran parte, dall’America Latina. Se basti questo a riequilibrare i sondaggi, o sia solo un passo nello scivolamento verso un nuovo peronismo nordamericano, lo diranno solo i prossimi anni.