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 2025  novembre 15 Sabato calendario

Cosa vuol dire “six-seven” e perché è diventato il meme dell’anno

Six-seven è uno dei meme più virali degli ultimi tempi. Si può urlare o mimare con le mani. Poco importa. L’importante è essere capiti da chi lo conosce. Non tutti ci ricordiamo di skibidi-boppy, già entrato nella preistoria di TikTok, ma Six-seven è andato molto oltre, guadagnandosi una pagina Wikipedia e l’incoronazione di ’parola dell’anno’ da Dictionary.com. Il significato? Tutto da capire. Qualcuno sostiene: “Nessuno”, e proprio in questo starebbe la sua fortuna.
La six-seven mania – più di 2 milioni di post utilizzano questo hashtag – si è diffusa in maniera del tutto inaspettata grazie ai social. Nasce da una canzone uscita alla fine dello scorso anno, “Doot Doot” del rapper Skrilla. Sarebbe un riferimento a una strada di Philadelphia, ma il senso si è perso e trasformato completamente quando migliaia di utenti Gen Z e Gen Alpha hanno cominciato a ripeterlo in altrettanti remix sui social, modificandone l’accezione di volta in volta. Era stato poi il rapper a chiarire al Wall Street Journal che i due numeri non hanno in realtà un significato univoco e proprio questo ne amplifica la popolarità.
Ma com’è esploso il trend? A farlo “volare” è stato il giocatore universitario di basket Taylen Kinney, che in un video dava un voto (ovviamente compreso tra il 6 e il 7) a una bevanda di Starbucks, rivolgendo i palmi delle mani verso l’alto come a mimare una bilancia.
Poi a diventare sono stati i video con il giocatore Nba LaMelo Ball, alto per l’appunto 6,7 pollici (due metri) e il cui soprannome è diventato inevitabilmente six-seven.
Un’ulteriore spinta è arrivata infine con un altro contenuto, in cui un ragazzino urlava dagli spalti di una partita amatoriale (sempre di basket) la frase six-seven, replicando il gesto di Kinney. In poche settimane è diventato il “Kid67”, testimonial del meme.
Usatissima dai bambini a scuola negli States – tanto che alcuni insegnanti sono arrivati a vietarla, spiega il sito Forbes – l’espressione si è diffusa in tutto il mondo: lo scorso 6 e 7 novembre alcuni McDonald’s degli Emirati Arabi hanno servito 7 McNuggets in scatole da 6 pezzi. Un caso? Assolutamente no. Il tormentone è finito anche dentro un episodio di South Park, in cui gli insegnanti interpretano la sequenza dei numeri come un segno satanico.
Per alcuni six-seven si potrebbe classificare come un esempio perfetto di brain rot. Letteralmente traducibile come “marciume del cervello” dovuto allo scrolling, è diventato popolare quando nel 2024 la Oxford University Press l’ha definito “parola dell’anno”. Ci sono stati molti altri meme simili a six-seven, spesso finiti nel calderone degli ’italian brain rots’ che tra l’altro di ’italian’ però hanno ben poco. “Chimpazini Banini”, o “Ballerina Cappuccina”. Espressioni che apparentemente non vogliono dire nulla, ma che finiscono con l’avere un senso profondo.
In un lungo articolo pubblicato sul New Yorker Joshua Rothman si è domandato se six-seven sia o meno una forma di marciume cerebrale. Nel 1923, ricorda Rothman, il celebre antropologo Malinowski aveva spiegato che quando le persone si riuniscono tra loro parlano di un sacco di cose inutili “tanto tra le tribù quanto in un salotto europeo”. Il significato delle conversazioni, secondo Malinowski, sarebbe in questi casi del tutto irrilevante perché il parlare del tempo o di cose apparentemente ovvie ha una funzione precisa: creare un legame.
Internet non ha cambiato molto la società – conclude Rothman nella sua analisi – l’ha trasformata completamente. Ma siamo sempre gli stessi “vecchi” esseri umani, con gli stessi modi di relazionarci gli uni agli altri. E in questo senso il six-seven non esisterebbe senza un certo tipo di marketing, i social network e il brain rot; ma allo stesso tempo non è riducibile a queste cose. Come gli indigeni descritti da Malinowski nella sua opera più importante, “Argonauti del Pacifico occidentale”, intessiamo la nostra esistenza su codici, rituali e mondi condivisi. Poco importa se non siamo sulle isole Trobriand, studiate dall’antropologo polacco nella sua missione al largo della Nuova Guinea.
Urlare six-seven e sentirsi capiti con uno sguardo da qualcuno è – e sarà sempre – appagante perché ci farà sentire meno soli. Lo ha spiegato in altre parole Steve Johnson, responsabile del Dictionary media group: “Six-seven è in parte un inside joke, in parte un segnale sociale e in parte una performance. Quando le persone lo dicono, non stanno semplicemente ripetendo un meme, stanno gridando un sentimento”.