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 2025  novembre 15 Sabato calendario

Calamite e altri gadget sono 1.500 i negozi che invadono il centro

«Sono ormai 1.500 i negozi di souvenir e i minimarket aperti in centro. Anche a discapito di negozi di qualità che non ce la fanno a reggere i costi», spiega Giulio Anticoli presidente dell’associazione Botteghe storiche che proprio in questi giorni ha annunciato la chiusura di Kent, il negozio aperto dal 1955 in viale Somalia. Questi 1.500 negozietti sono un’enormità ben rintracciabile nelle viette che portano a Fontana di Trevi e al Pantheon, in largo di Torre Argentina e accanto al Colosseo o a San Pietro. Sono ovunque e per lo più vuoti, tutti con le stesse identiche cose in vendita.
Di fronte a questa situazione «come Associazione abitanti centro storico siamo preoccupati – spiega la presidente Viviana Piccirilli Di Capua – Perché sembra ci sia un’organizzazione spietata che subentra alle attività del centro. Pensiamo che sia ora di capire cosa c’è dietro tutti questi negozietti sempre vuoti perché è evidente che ci siano delle possibilità economiche che altri non riescono a sostenere e c’è una velocità nell’acquisto e nel rifornimento di oggetti che fanno pensare».
Alla luce di questo e anche del caso Pascucci «analizzeremo fino in fondo tutte le situazioni sulle quali riteniamo vada fatta chiarezza – commenta il presidente della commissione Commercio Andrea Alemanni – Nel centro di Roma il subentro su un’attività può essere oggetto di compravendita per centinaia di migliaia di euro e dobbiamo responsabilizzare i tanti commercianti onesti facendogli sentire che siamo al loro fianco con l’obiettivo di mantenere, anche nel commercio, il nome di Roma nell’eccellenza».
La proposta di Alemanni è anche di fare rete con le forze dell’ordine, tra cui la guardia di finanza: «Un Comune non ha tra le proprie attività, per costituzione, quella della verifica della sostenibilità commerciale. Se un locale acquista una licenza per 300mila euro e paga 10mila euro al mese di affitto, il Comune non ha né lo strumento né il potere per verificare come commercialmente questa attività possa reggere. Ci vuole un patto tra enti pubblici, dalla Guardia di Finanza, alla Polizia di Stato, loro hanno gli strumenti e il ruolo per poter effettuare queste verifiche. Combattiamo insieme questa battaglia».
Intanto, in largo di Torre Argentina vicino all’ex Pascucci, i gadget sono a ogni angolo e accerchiano l’area archeologica. Davanti alla libreria Feltrinelli non solo c’è l’edicola trasformata in un gazebo che espone cianfrusaglie ma è comparsa anche una bancarella che, a due metri reali di distanza, offre in vendita le stesse cose: calamite, magliette e altri gadget. Anche l’edicola successiva, di fronte al teatro, espone più altro questi oggetti e lo stesso accade in largo Arenula dove si susseguono in pochi metri quadrati un minimarket, un negozio di souvenir, un’edicola trasformata in rivendita di gadget.
Maria Fermanelli, associata Cna Roma e titolare del forno Pandalì in via di Torre Argentina ricorda «le botteghe alimentari, il calzolaio, il gommista, la fonderia dove c’è ora la discoteca, i corniciai. Tutti artigiani spariti». Resistono l’Antica erboristeria, il ferramenta, la cartoleria, ma il lavoro artigianale «non regge la proporzione tra ciò che si guadagna e ciò che bisogna pagare, dall’affitto alla Ztl. Bisognerebbe aiutare gli artigiani con misure di semplificazione e strategiche». La domanda, però, anche per Fermanelli rimane la stessa: «Possibile che non si riesca a porre un limite alla paccottiglia? La sua diffusione sottrae valore alla collettività e probabilmente nemmeno viene da giri puliti».