la Repubblica, 15 novembre 2025
Trentini, la beffa dell’accordo saltato dopo la crisi Usa-Venezuela
Non è un giorno qualunque per la famiglia Trentini. Doveva essere quello del ritorno. A un anno dall’arresto in Venezuela, tutti – in casa e nelle stanze istituzionali – erano convinti che Alberto sarebbe rientrato. Era più di un auspicio: c’erano rassicurazioni, contatti fra i due governi, un canale riaperto dopo mesi di gelo. Tre settimane fa sembrava che tutto stesse andando nel verso giusto. E invece: Alberto Trentini resterà nella cella di El Rodeo, a Caracas, più che detenuto, ostaggio del governo Maduro.
Per capire lo stop bisogna tornare al principio. Alberto Trentini era stato arrestato il 15 novembre 2024 mentre viaggiava da Caracas a Guasdualito, nello Stato di Apure. Un fermo a un posto di blocco, senza spiegazioni, seguito da settimane di isolamento: nessun contatto con la famiglia, nessuna possibilità per l’Italia di vederlo o avere informazioni attendibili.
In quella fase, Caracas – nel continuare a non chiarire le ragioni del fermo – aveva posto una condizione politica precisa nei colloqui informali a livello di intelligence: ottenere dall’Italia un gesto, anche minimo, di riconoscimento della legittimità del governo Maduro. Non un cambio di linea, ma un segnale. Dalla Farnesina inizialmente era arrivato un no, viste anche le posizioni molto dure che il governo Meloni e il ministro degli Esteri Antonio Tajani avevano espresso in precedenza. A quel punto era però iniziata una lunga trattativa politica e diplomatica. I funzionari della Farnesina avevano attivato tutti i canali disponibili; lo stesso aveva fatto l’intelligence, con l’Aise che aveva trovato sponde anche inaspettate in Sud America. Chigi, con il sottosegretario Alfredo Mantovano – che sta seguendo personalmente il dossier – aveva mostrato apertura: respinte le richieste impraticabili (come l’ipotesi di uno scambio di prigionieri), era stato fatto capire che non c’era la volontà di “punire” il Venezuela, soprattutto in relazione ad alcuni casi molto sensibili per Caracas. Nel frattempo la famiglia Trentini, con l’avvocata Alessandra Ballerini, manteneva un tono fermo ma mai ostile. Questi segnali avevano prodotto cambiamenti concreti: la certezza che Trentini fosse vivo e il nome del carcere in cui era rinchiuso. Poi le prime telefonate a casa, infine la visita consolare che per mesi era stata negata. A quei passaggi era seguita una telefonata politica tra i governi, con il vice ministro Cirielli che aveva pubblicamente ringraziato Caracas in una prima telefonata dopo anni di gelo. Una circostanza apparentemente rituale, ma nel linguaggio diplomatico densa di significato. Intanto il governo aveva nominato Luigi Vignali inviato speciale per gli italiani in Venezuela.
Dentro quel negoziato, però, si muovevano altri attori: intermediari con relazioni in entrambe le direzioni, che avevano promesso canali rapidi e risultati immediati. Alcuni avevano fatto credere – tanto in Italia quanto in Venezuela – di poter ottenere ciò che in realtà non erano evidentemente in grado di assicurare. Erano stati loro a garantire che Alberto sarebbe rientrato se l’Italia non avesse mostrato preclusioni su alcune richieste venezuelane. Anche contatti dell’intelligence confermavano che la strada sembrava quella giusta.
Poi, tre settimane fa, tutto si è fermato. Senza spiegazioni. C’è chi attribuisce lo stop all’escalation tra Venezuela e Usa, tornati allo scontro: un clima in cui anche la liberazione di un cittadino europeo diventa una leva geopolitica. Altri restano più ottimisti: chiuso il canale dei mediatori, in queste ore si starebbe riaprendo quello diplomatico vero e proprio. Anche grazie al lavoro di diplomatici italiani e Santa Sede. Il 19 ottobre, Papa Leone ha canonizzato i primi due santi venezuelani: José Gregorio Hernández e suor Carmen Rendiles. A Roma era arrivato tutto l’establishment di Maduro, accolto con tutti gli onori dall’Italia. Si era parlato a lungo di Trentini. A quello non ha smesso di credere Armanda, la madre di Alberto. Non a un miracolo, ma alla giustizia: riavere suo figlio a casa, il prima possibile.