corriere.it, 15 novembre 2025
Come vendere i libri e guadagnarci: i segreti del mercato editoriale spiegati dal libraio dell’anno
È uno dei librai più bravi di Milano in una delle librerie indipendenti più amate della città, la Centofiori. Il suo segreto è togliere la polvere della retorica, da un mestiere che non è per nulla facile e romantico come sembra, e quello di presentarsi con un volto sorridente e ironico ai clienti. Non a caso Vittorio Graziani è stato premiato come «Libraio dell’anno 2025», dalla Scuola Librai Mauri e non a caso ha deciso di scrivere un libro, pubblicato dalla Utet, che si intitola Vendere libri è una cosa seria. Ne approfittiamo per parlare con lui non solo della sua fatica, ma più in generale di editoria, libri e premi Nobel. Graziani – che ha lavorato prima in casi editrici, poi in Fnac e Feltrinelli – è uno che parla schietto, il libro è una guida vera per chi vuole aprire una libreria, con cifre, regole, esempi per non soccombere. E avvertenze per districarsi in un mercato non privo di distorsioni.
Prima avvertenza: distinguere tra librerie indipendenti, in franchising e catene.
«Giusto. Noi siamo indipendenti e purtroppo questa categoria rappresenta solo l’11 per cento del mercato. Il resto è di grandi catene, come Feltrinelli, Mondadori, Giunti, Libraccio. Ma molte librerie sono in franchising e sono entrate nel sistema di Ubik, a volte senza prenderne il nome».
Cosa cambia per il cliente?
«Noi siamo liberi, autonomi e indipendenti. Decidiamo quali libri comprare, quali esporre e per quanto tempo. Se vogliamo fare un’intervista come questa, la facciamo. Le catene hanno un sistema centralizzato di acquisti. I franchising come Ubik sono una via di mezzo. Sono autonomi, ma non indipendenti. Scelgono loro i libri, ma hanno la garanzia del conto deposito. Non pagano subito, cioè, i volumi, ma al momento della vendita».
In Italia c’è una grande concentrazione di editori, librerie e distributori.
«Purtroppo sì. Molte catene sono contemporaneamente editori, distributori, promotori e librerie. Mondatori ha 500 punti vendita affiliati, Giunti 260, Feltrinelli 115, il Libraccio 60. Ubik ne ha 160».
Se entri in una Feltrinelli trovi scaffali su scaffali di libri Feltrinelli.
«Non solo. In corso Genova c’è un intero scaffale di Gribaudo, che è del Gruppo. Giunti lo fa in modo sfacciato. È un problema per il lettore, perché non si trova il meglio dell’editoria, ma quello che pubblica il gruppo editoriale della catena».
Il vino dell’oste, diciamo. Ma per fortuna ci sono le librerie indipendenti. O no?
«Sì e no. Faccio un esempio. Quando ha vinto il Nobel László Krasznahorkai, tre minuti dopo aver sentito la notizia, chiamo l’agente di Bompiani, che è del gruppo Giunti, e chiedo 25 copie di “Satantago”, 25 di “Melanconia della resistenza”, e 5 degli altri libri dell’autore. Lui mi risponde di avere inserito gli ordini. A un mese dalla vittoria, che libri ci sono arrivati? Cinque copie degli altri e nessuna dei due più importanti che avevo chiesto».
Sono esauriti.
«Certo, ma è perché le copie che avevano le hanno mandate prioritariamente a Giunti. Questo è grave, perché io da un mese ripeto a tutti che bisogna leggere quei due libri, e poi non riesco ad averli. È’ un piccolo esempio di una distorsione molto più grande».
Ma come funziona per gli acquisti? Voi a chi li fate gli ordini?«Ogni casa editrice ha un promotore, che viene e ci fa vedere le novità. Noi scegliamo e facciamo i preordini. I libri poi arrivano attraverso i distributori. Anche qui, c’è una grande concentrazione. Sono sostanzialmente quattro: Messaggerie, Mondadori, Giunti e Ali, che però è diventato di Mondadori».
In Italia si pubblicano 85 mila libri, un’enormità. Sugli scaffali c’è un ricambio vorticoso, non ci si sta dietro. Colpa vostra?
«È vero, troppi libri. Ma è un sistema che spinge alla rotazione continua».
È un meccanismo economico. Si chiama sell out: i librai comprano le copie e le pagano agli editori. Poi, quando fanno i resi, hanno diritto alla restituzione. E gli editori, per ripagare il non venduto, vendono nuovi libri, incassando soldi. Un circolo vizioso che porta a produrre libri non per venderli ai lettori ma alle librerie.
«Sì, in parte è così. Molti libri restano in magazzino. Perché se hai 1.500 prenotazioni e fai una tiratura di 3 mila, poi quel libro vende solo mille, le 2 mila che restano vanno al macero».
Quanto resta sullo scaffale orizzontale una novità?
«La linea Maginot sono tre-quattro settimane: se non vende, va in resa».
Ci sono molti librai improvvisati?
«Troppi. Per questo ho scritto il libro. Non c’erano altre guide utili. C’era solo la Bibbia di Romano Montroni, Vendere l’anima, ma è del 2005. Nel frattempo è successo di tutto».
Perché improvvisati?
«Faccio un esempio. A Napoli hanno aperto una libreria con solo 300 libri. Forse ne hai di più a casa tua. Sugli scaffali li hanno divisi per stati d’animo. Ma come si fa? Altro errore: affiancare un bar, sperando che attiri clienti. E invece annacqua l’identità».
Come i bar-tavola calda-enoteca-pizzeria-sushi bar-ristorante che non sai bene cosa sia.
«Esatto. Feltrinelli li sta chiudendo a poco a poco».
Amazon ha dato un colpo che sembrava fatale al settore.
«Ero in Feltrinelli, nel 2010, quando è sbarcata in Italia. Nel 2017 ha raggiunto il 40 per cento del mercato. Le grandi catene hanno reagito male, scompostamente, investendo sul marketing o sulla competizione nella consegna. Dovevano puntare sulla qualità del personale, sul rapporto diretto dei lettori, unica arma davvero funzionante».
Quanto costa aprire una libreria?
«Per una libreria ex novo vanno calcolati poco più di 1000 euro al metro quadro; quindi, in un range tra i 70 e i 200 metri quadri, l’investimento può variare da 100 000 a 200 000 euro. Si devono aggiungere le spese di avviamento».
Quando si comincia a guadagnare?
«Ci vogliono almeno tre anni per raggiungere un equilibrio economico».
Lo Stato aiuta?
«Ben poco, ma è anche giusto, le librerie devono stare sul mercato. Il provvedimento decisivo si deve al ministro Franceschini che ha messo un tetto al 5 per cento agli sconti, bloccando l’ascesa di Amazon. Il ministro Giuli ha dato sovvenzioni agli under 35 che aprono in periferia».
Bene, no?
«No. Perché se non formi i nuovi librai, sono soldi sprecati. Bisogna avere competenze, studiare popolazione, concorrenza, reddito imponibile degli abitanti, livello culturale, posizione. Purtroppo non c’è una una formazione obbligatoria per chi vuole aprire una libreria. In Francia c’è l’Adelc, un’associazione istituita nel 1988 da quattro editori, Gallimard, La Découverte, Minuit, Le Seuil».
Quest’anno le vendite in generale di libri sono calate del 4 per cento.
«Sì, anche se noi per fortuna siamo in crescita. Ed è in crescita il mercato dei ragazzi, fondamentale se si vuole aprire una libreria».
Quando esce un libro che non ti piace, diciamo un Vannacci, lo prendi o no?
«Non giudico nessuno, ma i libri che espongo sono la nostra identità. Quindi se c’è un Vannacci, ma anche un padre Pio, ne prendo tre copie e le tengo in magazzino».
Come riesci a far funzionare la libreria?
«Con il passaparola. Con la competenza dei colleghi che lavorano con me. E con i social, che sono fondamentali. Abbiamo iniziato un paio d’anni dopo aver rilevato Centofiori. Con una regista, Silvia Rubino, abbiamo cominciato a fare questi video su Instagram che hanno molto funzionato: dai 1500 follower che avevamo quando abbiamo postato i primi, siamo passati ai quasi 35mia di oggi. Abbiamo iniziato a vedere una ricaduta anche sul fatturato».
Sono i video dove proponi i «Risolvi serate» e i «Nobilita comodino». Il lettore più cinico direbbe che non puoi averli letti tutti quei libri e che ti sei limitato alla quarta di copertina.
«Ne leggo moltissimi di libri. Ma ho anche lettori e critici di riferimento che mi aiutano. E imparo molto anche dai clienti, che mi consigliano e mi danno idee».
Tre libri fondamentali da leggere nel 2025
«Albert Speer. La sua battaglia con la verità, di Gitta Sereny. Nella carne di David Szalay. E la nuova edizione dell’Orma del Processo di Kakfa. Con un impianto critico che è come non averlo mai letto prima».