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 2025  novembre 15 Sabato calendario

La nuova premier giapponese risveglia il «Guerriero Lupo» di Pechino

La nuova premier giapponese Sanae Takaichi è in carica da poche settimane ma si ritrova già dentro una crisi diplomatica di rara intensità con Xi Jinping. Di fatto ha risvegliato da un temporaneo letargo i Guerrieri Lupo della diplomazia cinese. (Per approfondire chi siano questi diplomatici ipernazionalisti, dal linguaggio insolitamente aggressivo, mi permetto di rinviarvi ad un altro mio libro, meno recente, «Fermare Pechino»: lì raccontavo la genesi di quell’espressione, di quel fenomeno, di quella leva di diplomatici. All’origine di tutto c’è il titolo di un film...). Solo pochi giorni fa, a fine ottobre, la nuova premier veniva fotografata sorridente mentre stringeva la mano a Xi al summit APEC in Corea del Sud. Oggi, quello scambio di cordialità sembra appartenere a un passato remoto. Il rapporto tra Tokyo e Pechino è precipitato in un gorgo di minacce, invettive e rievocazioni del passato coloniale, «qualcuno» ha riattivato una memoria storica sempre pronta a incendiarsi. Ma la colpa è tutta della nuova Lady di Ferro?
Tutto nasce da una frase, apparentemente prudente ma sul nodo più sensibile per la leadership comunista cinese: Taiwan. Il 7 novembre, rispondendo a un’interrogazione parlamentare, Takaichi ha detto che un attacco cinese contro l’isola – distante appena un centinaio di chilometri dal territorio giapponese, oltre che dalle coste cinesi – costituirebbe «una situazione che minaccia la sopravvivenza del Giappone». Parole che, nella cornice della legge sulla sicurezza approvata nel 2015, possono significare una potenziale risposta militare. È una novità assoluta: i premier giapponesi hanno sempre evitato di esporsi in pubblico su un’eventualità del genere. Il Giappone, pur rafforzando la cooperazione con gli Stati Uniti e con i partner democratici dell’Indo-Pacifico, ha mantenuto negli ultimi decenni una postura prudente. Finora. A Pechino, quelle parole sono risuonate come una sfida frontale. La Repubblica Popolare rivendica Taiwan come parte integrante del proprio territorio e non ha mai escluso la forza per riunificarla. Negli ultimi anni ha moltiplicato incursioni aeree, esercitazioni navali, simulazioni di blocco dell’isola. (Come qualcuno di voi ricorderà, lo scenario fa da sfondo al romanzo «Il gioco del potere», thriller di fanta-geopolitica che ho scritto con mio figlio Jacopo). Takaichi è entrata dunque nella «linea del fuoco» di una delle contese più esplosive del XXI secolo.
Il contraccolpo è stato immediato. Il console generale cinese a Osaka, Xue Jian, ha scritto su X: «Il collo sporco che si sporge deve essere tagliato». Riecco il linguaggio violento dei Guerrieri Lupo, che era stato accantonato da qualche tempo (per ragioni tattiche, cioè per opporre al trumpismo una facciata amichevole e multilateralista della Cina). Una formula brutale, rimossa poco dopo ma che ha fatto il giro del mondo. Tokyo ha definito il messaggio «estremamente inappropriato». Taiwan ha parlato di un linguaggio «minaccioso». Pechino ha difeso il suo diplomatico, accusando il Giappone di «interferire gravemente negli affari interni della Cina».
Sui media cinesi è partita un’ondata di indignazione orchestrata: il Quotidiano del Popolo (organo ufficiale dal partito comunista) ha accusato la premier giapponese di «sparare sciocchezze», mentre commentatori nazionalisti evocano antiche ferite. Hu Xijin, ex direttore del Global Times, altro organo governativo, ha minacciato una risposta militare: «La nostra lama affilata per decapitare gli invasori è pronta. Se il militarismo giapponese vuole sacrificarsi nello Stretto di Taiwan, noi li accontenteremo».
Takaichi non è una premier qualunque. Conservatrice di ferro, erede politico-ideologica di Shinzo Abe, ha sempre difeso un rafforzamento della sicurezza del Giappone, investendo sulla deterrenza e sulla cooperazione con le democrazie asiatiche. All’inizio di quest’anno (prima di assumere il ruolo di capo del governo) Takaichi aveva compiuto una visita ufficiale a Taipei, parlando apertamente di «cooperazione sulle sfide della difesa»: un’eresia, agli occhi di Pechino, che l’aveva già inserita nella lista dei «falchi» giapponesi. La propaganda comunista ha immediatamente riesumato il suo arsenale di polemiche storiche. Il 2025 ha segnato l’80° anniversario della fine della Seconda guerra mondiale. Quest’estate Pechino ha organizzato una grande parata militare per celebrare la vittoria contro l’aggressione giapponese. La memoria della guerra in Cina viene continuamente alimentata dal regime: il massacro di Nanchino, le atrocità delle truppe imperiali, le decine di migliaia di donne e ragazze violentate e uccise. Nei giorni della commemorazione, i media cinesi hanno rilanciato film di propaganda bellica e retorica anti-giapponese. L’ambasciata del Giappone a Pechino ha dovuto avvertire i propri cittadini: evitare di parlare giapponese troppo forte in luoghi pubblici, per timore di aggressioni. (L’abitudine del partito comunista di accendere e spegnere a ripetizione l’interruttore del risentimento anti-nipponico, forse ne ha ridotto l’efficacia: è la mia impressione dopo un recente viaggio in Giappone, che ho visto invaso da turisti cinesi entusiasti).
Pechino ha usato il casus belli con Yakaichi per rilanciare un atto d’accusa storico: “Il Giappone porta una responsabilità morale verso il popolo cinese per i 50 anni di colonialismo su Taiwan,” ha detto Chen Binhua, portavoce dell’Ufficio per gli Affari di Taiwan del governo cinese. Taiwan come territorio conteso, prima colonia giapponese, poi rifugio dei nazionalisti cinesi in fuga da Mao: è una storia che Pechino continua a strumentalizzare per giustificare la pretesa sovranità sull’isola. Sorvolando sul fatto che la popolazione taiwanese oggi si sente molto più attratta dal modello di società giapponese, che non dalla Repubblica Popolare. C’è infine un paradosso geopolitico. Mentre gli scambi commerciali tra Cina e Giappone restano enormi, mentre le due economie sono più intrecciate che mai, lo spazio per il dialogo politico si restringe. Tokyo teme che la linea dura di Xi, la militarizzazione del Mar Cinese Orientale e il riarmo cinese creino una nuova vulnerabilità per il Giappone. Pechino sospetta che il Giappone, con l’appoggio americano, voglia usare Taiwan come leva per contenere la potenza cinese. 
Takaichi si è infilata nel cuore di questa tempesta. Ha già corretto il tiro, dicendo che la sua risposta era «puramente ipotetica». Ma le sue parole hanno scoperchiato una verità più profonda: il Giappone non può più far finta che Taiwan sia un problema distante. Una crisi nello Stretto sarebbe una crisi giapponese.