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 2025  novembre 15 Sabato calendario

«5G, l’Italia acceleri. L’utilizzo? Solo al 2%. Ancora troppa Cina»

Dopo due settimane di rilanci, le frequenze 5G sono state battute all’asta in Italia per 6,5 miliardi. Era il 2018 e la quinta generazione della telefonia mobile prometteva di schiudere un mercato di centinaia di miliardi. Sette anni più tardi «solo il 2% degli utenti italiani utilizza il 5G standalone, quello vero, per il resto si tratta di un 4G potenziato», spiega Andrea Missori, responsabile della regione Sud Europa ed Eurasia di Ericsson, la multinazionale svedese che sviluppa e produce le apparecchiature di telecomunicazione.
Come spiega un tasso di adozione così basso?
«Gli operatori come Tim, Fastweb, Iliad, Vodafone e Wind non hanno avuto la forza finanziaria per sviluppare il 5G perché il mercato italiano è troppo competitivo: il costo per i dati è il più basso al mondo dopo Israele. E, senza la previsione di ritorni adeguati, è impossibile effettuare investimenti».
Non è che il 5G non è poi così utile come si immaginava?
«Nei Paesi dove il vero 5G ha ampia copertura si vedono già le prime applicazioni promettenti, impossibili con il 4G. Penso ai taxi a guida autonoma di Seattle, ai robot umanoidi, ai visori per la realtà solo virtuale o, più semplicemente, alla connessione in treno. E siamo solo agli inizi: come l’avvento del 4G ha dato vita all’app economy di Uber, Netflix e Spotify, così il 5G farà nascere nuove aziende e startup. L’Europa e l’Italia possono ancora giocare questa partita, ma bisogna accelerare».
Come? La concorrenza fra operatori in Italia è ancora serrata...
«Il governo e l’Europa possono aiutare su più fronti. Anzitutto, anziché essere oneroso, il rinnovo delle frequenze italiane, in programma nel 2029, potrebbe essere legato a un impegno degli operatori a investire sul 5G che oggi copre meno del 25% della rete. L’Ue dovrebbe poi riconoscere che le imprese di telecomunicazione sono energivore, con tutti i benefici che derivano: il loro consumo di energia è secondo soltanto a quello delle ferrovie. Credo infine che si debba rivedere l’interpretazione del principio della net neutrality».
Che cosa intende?
«L’accesso non discriminatorio a internet è un principio sacrosanto, ma questo non significa che debba esser fornito a tutti alle stesse condizioni e allo stesso prezzo. Se un operatore offre capacità di rete specifiche a un prezzo superiore all’offerta di connettività generica, non sta violando la net neutrality».
La sicurezza
Si aprirebbe così la strada a un aumento dei prezzi: non rischia di essere una misura impopolare?
«Non si tratta di alzare i prezzi tout court, ma di consentire agli operatori di differenziare le loro offerte di connettività, cosa che il 5G permette di fare. Se la bolletta energetica varia a seconda della potenza del contatore, perché quella della connessione non può variare in base, per esempio, alla qualità con cui il cliente vuole vedere i film su Netflix?».
Con i cinesi in ritirata dall’Europa, sarete voi e Nokia a contendervi questi investimenti sul 5G?
«Non ho ancora visto questa ritirata, perlomeno in Italia. Ci sono operatori nel Paese che hanno ancora il 50% o più di tecnologia cinese nella loro infrastruttura di rete. Al contrario, per noi il mercato cinese, che da solo vale il 40% del 5G mondiale, è di fatto inaccessibile».
Esiste un problema di sicurezza dei dati?
«Questo è un giudizio che spetta ai governi. Si dice però che l’Europa dovrebbe investire di più sulle aziende europee per creare campioni globali: nel 5G questi campioni ci sono già tanto che Ericsson genera oltre un terzo del suo fatturato negli Stati Uniti».
E in Italia?
«Svolgiamo il 60% della nostra ricerca e sviluppo in Europa e l’Italia è un centro importante. Siamo qui dal 1918, abbiamo partecipato alla costruzione delle reti tlc italiane e oggi contiamo 2.000 persone che effettuano servizi di ingegneria anche per altri mercati. Ericsson ha fatto un investimento importante sul Paese: per mantenerlo – e, possibilmente, aumentarlo – servono le giuste condizioni».