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 2025  novembre 15 Sabato calendario

Selfie, euforia e auto blu. Una dimostrazione di forza per evocare «la rimonta»

Nella bolgia del Palapartenope, nell’euforia per una rimonta difficile, forse improbabile, e comunque qui annunciata, data per sicura. Tra spavaldi candidati del centrodestra a queste Regionali campane e portaborse sudati e scodinzolanti («Guagliò, qualcuno l’ha visto a Sangiuliano? Quello, Jenny, è o’ capolist…»), più i meravigliosi galoppini delle tessere («A Caserta ce pigliammo tutt’ ‘e ccose»): e poi pure tra i militanti che sventolano vecchie bandiere con la faccia di Berlusconi, perché Silvio c’era e c’è («Silvio! Silvio!»), e altri che arrivano da Nocera Inferiore e vorrebbero andarsi a sedere in prima fila per l’enorme merito d’essere tutti ex compagni di scuola del generale, e cioè Edmondo Cirielli, il fratello d’Italia che sul serio è un ufficiale dell’Arma e adesso aspira alla poltrona di governatore (ma che se gli va male tornerà a sedersi su quella, altrettanto comoda, di viceministro degli Esteri).
Il tassista ha accostato davanti al camion-bar di un certo Donato detto «cuol stuort», collo storto, un amico di suo cugino da parte di padre, e ora dice che prima di entrare dentro al tendone – illuminato come quello d’un circo, platea al completo, le gigantografie di Pino Daniele che stasera però non avrebbe certo cantato – il tassista insomma dice che bisogna assaggiarli per forza questi panini farciti con la salsiccia e i friarielli, una delizia unta e bisunta, cola olio come da un motore che perde, e infatti qui accanto c’è uno che impreca, così butta tutto nel secchio e, leccandosi le dita, s’affretta per andarsi a mettere in coda dietro alle transenne: mentre tutt’intorno c’è un gran bagliore di lampeggianti blu, di auto blu, da cui scendono i primi cappotti di cashmere blu. È appena un po’ umido, ma in campagna elettorale il cashmere ha un suo perché. Come il sussiego. Gli inchini. I selfie. Caro senatore. Carissimo ministro. Matteo! Amico mio… Tajani caro, vieni qui, fatti abbracciare! E Giorgia? È lì, stai calmo.
Più che un’iniziativa elettorale, una dimostrazione di forza. Di governo centrale. Di potere. Vero, concreto, ostentato. Guardate: non è facile capire se, e quanto, i grandi capi del centrodestra credano davvero possibile il colpo, il colpaccio di soffiare la Campania al centrosinistra. Però loro giurano di avere sondaggi con una forbice piuttosto stretta, con Roberto Fico distante solo una manciata di voti. E poi comunque mancano nove giorni al voto (23 e 24 novembre) e nove giorni, ti spiegano, sono un tempo abbastanza lungo per celare qualche colpo di scena (ma quale?). O anche solo – ed è questo, forse, l’obiettivo politico più nascosto e realistico – per contenere le dimensioni di un’eventuale sconfitta.
Non è comunque una novità che Giorgia Meloni, Antonio Tajani, Matteo Salvini e Maurizio Lupi si schierino sullo stesso palco. L’hanno fatto ovunque: nelle Marche, in Calabria, in Toscana. Eccoli perciò anche qui, dove – come sappiamo – non hanno mai seriamente pensato di vincere. La (quasi) certezza di una sconfitta è stata tale che, per mesi, almeno quindici possibili candidati hanno preso parte a una imbarazzante tarantella. Con Fulvio Martusciello, coordinatore regionale di FI ed europarlamentare, che fu il primo a scendere in pista. E, subito, anche a uscirne (gli arrestarono Lucia Simeone, la segretaria). Così a Salvini venne un’idea: «Candidiamo Piantedosi!». Ma tutti intuirono che era solo un trucchetto per far uscire Piantedosi dal Viminale e andarsi a sedere al posto suo. A quel punto, un frullatore di nomi. Da Mara Carfagna (preparata, popolare, determinata, mediatica, bella: ma detestata da tutti i capi forzisti) a chiunque facesse o avesse fatto il rettore universitario: tipo Matteo Lorito o Guido Trombetti, oppure addirittura Gianfranco Nicoletti. Quindi, gli industriali: misero in mezzo un grande classico come Antonio D’Amato insieme a Costanzo Jannotti Pecci e Carlo Pontecorvo. Senza imbarazzi, pensarono a un leghista (sia pure casertano): Giampiero Zinzi. Persino il prefetto di Napoli, Michele Di Bari, lasciò che il suo nome circolasse. Aurelio De Laurentis, il presidente del Napoli, visto varcare il portone di Palazzo Chigi, fu costretto a precisare: «Piuttosto che candidarmi, mi trasferisco al Polo Nord». Il nome di Cirielli è entrato, uscito, tornato. Lui, in realtà, si è auto-candidato con efferata determinazione. Una volta, urlò: «Il mio nome è quello vincente!». Quando uno ha il dono della modestia, non lo fermi.
La tarantella di nomi
Per adesso, intanto, è lassù. Accanto a Giorgia (giacca blu, camicia bianca, jeans). Accolta da applausi, grida, eccitazione diffusa («Grazie! Vi voglio bene!»), è venuta a metterci la faccia – e, dicono, tornerà venerdì prossimo – pure perché vorrebbe evitare che FdI (al 15%) venga superata da FI (al 12). Tajani ha fatto una campagna acquisiti importante. S’è preso l’assessore regionale dimissionario Nicola Caputo. E pure il consigliere Giovanni Zannini, deluchiano d’acciaio, maestro del tesseramento, coinvolto in un’indagine su una presunta corruzione. Molti – questa è la voce forte – all’inizio hanno saltato il fosso per non ritrovarsi nella trappola del «codice etico» che Roberto Fico aveva promesso: anche se poi sappiamo com’è finita, e Fico ha imbarcato chiunque, lui che è un noto uomo di mare, abile a cambiare rotte, e gozzi. Comunque oltre a qualche faccia nota, pure un altro centinaio di amministratori (tra loro, 21 sindaci), che a De Luca hanno baciato la pantofola fino a due mesi fa, sono entrati in FI. Arianna (basta il nome) ha perciò ritenuto opportuno scendere e farsi un tour, dispensando abbracci e rassicurazioni, dai Quartieri Spagnoli fino a Secondigliano (passando per un incontro riservato con alcuni industriali).
Si scrive ascoltando i discorsi, il pc sulle ginocchia. Dopo Gianfranco Rotondi della Dc e Antonio De Poli, segretario Udc, prende la parola Cirielli e promette cento euro al mese «a chiunque abbia la pensione minima». Salvini giura che nel 2026 cominceranno i lavori del Ponte sullo Stretto (in effetti, a Nola, a Baia Domizia, a Benevento, non si parla d’altro). Tajani chiude il suo lungo e articolato intervento citando «Maradona, Careca e Alemao» (no, dico, Alemao: ma come gli è venuto?).
Non c’è altro. Da via Solferino chiedevano 120 righe. Dovremmo esserci.