Corriere della Sera, 15 novembre 2025
Quell’amicizia speciale tra i presidenti italiani e tedeschi
«L’anno 1989 fu salutato con uno sbadiglio…», disse l’economista americano Albert Hirschman per spiegare la pigrizia che impedì a molti di cogliere l’imminenza di una svolta storica. Fu un grave deficit d’immaginazione perché allora crollò il Muro di Berlino, sconvolgendo l’ordine mondiale e mutando parecchie cose pure in Italia. Fra chi intuì – senza sbadigli – quanto stava per capitare ci fu Francesco Cossiga, che non a caso volò a Bonn subito prima il cruciale 9 novembre. Ci intravvide la metafora di quel che sarebbe accaduto da noi: uno sfascio, se non avessimo chiuso la «guerra fredda interna» (il fattore K) e rigenerato il sistema. Non solo. Sosteneva che avremmo dovuto cambiare i rapporti con Germania ed Europa, emancipandoci dall’egemonia franco/tedesca. Cossiga era però a fine mandato e, concentrato a esternare la sua profezia della catastrofe, non poté incidere nella politica estera.
Toccò a Oscar Luigi Scalfaro dare un segno nuovo alla partnership con la Germania riunificata. Il suo obiettivo era trovare un alleato forte, che lo fiancheggiasse nel superare le diffidenze della Ue verso Roma. Compito non facile, mentre l’Italia faticava a onorare il trattato di Maastricht e l’economia collassava, la mafia era all’attacco e Tangentopoli faceva tabula rasa dei partiti, delegittimati e sostituiti da forze populiste. «La Prima Repubblica è nel caos e, data la nostra instabilità politica, si profila un rischio Weimar», denunciò senza convenevoli al cancelliere Khol. Che lo avrebbe aiutato, assieme ai presidenti von Weizsäcker ed Herzog.
Ma il rapporto tra il Quirinale e l’equivalente tedesco, lo Schloss Bellevue, divenne speciale, cioè non subalterno, da Ciampi in poi. L’ex governatore di Bankitalia conosceva bene la Germania, dove aveva studiato filologia classica tra il 1939 e il ‘40. E i tedeschi conoscevano e apprezzavano lui per il rigore nel gestire i conti pubblici. Con gli omologhi Rau e Koehler dimostrò un dinamismo inedito per consolidare il sogno dei padri fondatori nella fase costituente della Ue, difendere la Banca centrale e concertare tutele della moneta unica. Per lo spirito europeista riceverà ad Aquisgrana il premio Carlo Magno.
Uno stile e una credibilità con cui si impose la diplomazia berlinese di Giorgio Napolitano, filotedesco appassionato, tanto da scrivere la prefazione a un libro fondamentale di Thomas Mann. In lui i tedeschi confidarono (purtroppo inutilmente) per il varo delle riforme istituzionali sempre promesse dai nostri governi, tra una crisi e l’altra. Da 10 anni ne ha raccolto il testimone Sergio Mattarella, nello sforzo di ridare slancio a un multilateralismo che garantisse attenzione al Mediterraneo e completasse la costruzione dell’Ue. Anch’egli ha voluto che il suo primo viaggio all’estero fosse a Berlino: scelta simbolica, per sottolineare (come farà anche da oggi) l’amicizia tra i due Paesi che è divenuta poi amicizia personale con i colleghi Gauch e Steinmeier, con i quali ha costruito un rapporto di convergenze politiche e perfino morali. Lo ha dimostrato il modo con cui insieme, mano nella mano, hanno chiuso a Fivizzano e Marzabotto un passato che non passava: quello delle stragi nazifasciste in Italia.