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 2025  novembre 14 Venerdì calendario

Gramsci e Pertini, amici per caso

Una storia politica ricchissima di umanità, diversa dal solito schema – i buoni contro i cattivi – ma anche una vicenda misteriosamente caduta nell’oblio. Una storia che ha inizio pochi giorni prima di Natale del 1931: due inflessibili oppositori del fascismo, Antonio Gramsci e Sandro Pertini, si incrociano nel cortile del carcere di Turi durante l’ora d’aria, non si conoscono e il socialista si rivolge all’ex capo comunista: «Onorevole Gramsci, mi chiamo Sandro Pertini sono socialista e vengo dall’ergastolo di Santo Stefano: sono davvero lieto di conoscerla…». E Gramsci: «Ma come, mi dai del lei?». Pertini: «Ma per voi comunisti, noi non siamo i socialfascisti?».
Da quel momento i due, superati i pregiudizi che dividevano i loro partiti, fraternizzano, arrivando a scandalizzare i reclusi comunisti più settari, condizionati dalla “linea” di Mosca che imponeva di considerare i socialisti nemici al pari dei fascisti.
Ora la storia di quella amicizia è diventata un libro: si intitola Nessuna grazia. Gramsci e Pertini, una storia di prigionia e resistenza e l’ha scritto per Rai Libri il drammaturgo e regista Cosimo Damiano Damato. Non un saggio storico: un racconto col passo del romanzo che però segue un rigido canovaccio storico, senza concedersi “licenze”. E ha il merito anche di far affiorare un destino comune, rivelatore della personalità dei due: in momenti diversi sia Gramsci sia Pertini furono seriamente malati e se avessero chiesto la grazia a Mussolini, sarebbero potuti tornare in libertà. Ma si rifiutarono di farlo: Pertini rigettò l’istanza materna, finendo per litigare con sua madre, mentre Gramsci, afflitto da mali gravissimi che lo avrebbero portato alla morte ad appena 46 anni, non cedette mai alla tentazione.
In un’epoca nella quale – e questo è il punto che fa capire lo spessore dei personaggi – non esistevano media pronti a rilanciare ogni parola e ogni gesto, le scelte più dure si facevano per il valore in sé, per coerenza con le proprie idee. Per dignità. Per scolpirle nella memoria: come esempio per gli altri.
Nel dicembre del 1931, Antonio Gramsci ha 40 anni e si trova nel carcere di Turi da 3 anni, dopo la sentenza del Tribunale speciale per la difesa dello Stato, che nel maggio 1928 lo aveva condannato a 20 anni di reclusione. Gramsci era malato – morbo di Pott, tubercolosi polmonare, ipertensione a 200 – ma la sua vita in carcere era appesantita anche dai difficili rapporti con il partito, che proprio lui aveva guidato prima dell’arresto e questo aveva guastato i suoi rapporti con maggioranza degli altri comunisti detenuti a Turi. Un atteggiamento che lo aveva indotto a fare dell’isolamento la forma della sua esistenza.
Sandro Pertini – quando arriva a Turi – di anni ne ha 35, era stato un militante socialista senza “galloni”, ma il carisma se lo era guadagnato sul campo: era riuscito a far espatriare per mare e di notte Filippo Turati il patriarca del socialismo italiano e poi era voluto rientrare in Italia per combattere la dittatura. Arriva in Puglia dopo un periodo nel carcere di Santo Stefano e il libro ha il merito di raccontare, oltre ai due protagonisti, la vita quotidiana degli altri detenuti politici: comunisti, anarchici, militanti di Giustizia e libertà. Figure rimaste spesso anonime ma in alcuni casi commoventi eroi di coerenza. Al centro, i due protagonisti. Dalla Sardegna portano a Gramsci la porchetta: «Pertini, a Pasqua vieni nella mia cella?». Piccole gratificazioni di carcerati ma gli occhiuti compagni vigilano e mandano un rapporto al Partito: «Gramsci ha ospitato il socialfascista». E mentre cura la sua aiuola con i fiori, sempre Gramsci: «Turati e Treves? Opportunisti!». E Pertini: «No Gramsci, sono i mei maestri». L’indomani le scuse di Gramsci e una confessione: «Di notte mi aprono lo spioncino e non mi lasciano dormire». Pertini va dal direttore del carcere e si raccomanda. Gramsci confessa: «Dopo anni ho dormito!». Quarant’ anni dopo Pertini racconterà: «A Gramsci dissi: ha visto, è arrivato un secondino più umano! Non gli dissi che ero andato dal direttore». Quei due eroi, così diversi ma alla fine così vicini, avevano imparato a stimarsi e mezzo secolo più tardi, Pertini – diventato presidente della Repubblica – volle ricordare quei mesi e in un’ intervista ad Enzo Biagi, disse: «Gramsci è stato il cervello più forte che abbia mai incontrato nella mia vita».