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 2025  novembre 14 Venerdì calendario

Nella nuova Siria le donne sono “invisibili”. Per le alauite l’incubo di sparizioni forzate

A quasi un anno dalla fuga di Bashar al-Assad in Russia, in un clima di forti cambiamenti sul piano interno e internazionale, in Siria si registra un nuovo, preoccupante fenomeno legato alle sparizioni forzate e i rapimenti di decine di donne alauite, una minoranza religiosa storicamente associata al potere centrale del regime. Dopo la caduta di Assad, per gli alauiti, che pur essendo minoranza per mezzo secolo hanno avuto ruoli centrali nella politica, nell’economia e nell’ambito militare, la situazione è cambiata radicalmente, con rappresaglie e violenze sfociate nei massacri avvenuti nel marzo scorso. Secondo i dati raccolti da organizzazioni internazionali e media arabi, il fenomeno dei sequestri ai danni delle donne ha assunto proporzioni inquietanti, con almeno 38 casi documentati tra marzo e novembre, concentrati nelle regioni costiere di Latakia e Tartus, ma anche nelle città di Hama e Homs. Le testimonianze raccolte dai siti di informazione indipendenti Dw Arabic e Enab Baladi (nato come sito di opposizione durante gli anni della guerra) parlano di donne rapite in pieno giorno, spesso mentre andavano al lavoro o a scuola. I rapitori, armati e in abiti civili, utilizzano veicoli senza targa e operano con una rapidità che suggerisce una rete organizzata. Le famiglie ricevono richieste di riscatto che variano da 1.500 a 100.000 dollari, accompagnate da minacce di violenza sessuale e messaggi intimidatori come “Non cercarla. Lei non tornerà”. Secondo Amnesty International, le autorità siriane «non hanno avviato indagini credibili». In alcuni casi, le famiglie sono state scoraggiate dal denunciare, mentre le commissioni locali hanno negato l’esistenza del fenomeno. Il report dell’Ohchr – l’Alto commissariato Onu per i diritti umani – del luglio 2025 parla di «una campagna mirata contro donne e ragazze alauite», definendo le sparizioni come «una forma di punizione collettiva». Human Rights Watch ha pubblicato un rapporto intitolato “Are You Alawi?”, che documenta uccisioni e sparizioni basate sull’identità religiosa. Le donne alauite, secondo il report, sono considerate «trofei di guerra» da alcune milizie, e la loro scomparsa è parte di una strategia di «epurazione identitaria e vendetta per gli abusi inflitti dal regime alla maggioranza della popolazione».
Di fronte a questi fatti, che gettano nello sconforto chi crede e lotta per una “Siria libera e di tutti i siriani”, le reazioni della società civile sono di forte condanna e preoccupazione. In un’intervista la scrittrice Samar Yazbek ha dichiarato: «Le donne alauite non sono solo vittime di una guerra settaria, ma di un sistema patriarcale che le ha rese invisibili. La loro sparizione è un messaggio: chi ha perso la guerra perderà anche le sue figlie». Dello stesso avviso Wafa Alì Mustafa, giornalista e volto della campagna globale contro le sparizioni forzate, che ha dichiarato: «Non possiamo parlare di transizione democratica mentre le donne vengono rapite e torturate. Le sparizioni sono il linguaggio del potere che non vuole cambiare. Ogni donna scomparsa è una pagina strappata alla storia della Siria». Entrambe hanno chiesto l’intervento di un organismo di inchiesta internazionale indipendente, al di fuori delle strutture statali siriane, accusate se non di complicità, di inazione.
Le famiglie delle donne scomparse vivono in un limbo di dolore e paura. In un reportage pubblicato da Enab Baladi una madre racconta di aver ricevuto una foto della figlia con il volto tumefatto e un messaggio: «Questo è solo l’inizio». La donna ha denunciato il caso, ma non ha ricevuto alcuna risposta dalle autorità. Alcune famiglie hanno iniziato a documentare autonomamente i casi, creando archivi digitali clandestini per preservare la memoria delle vittime. Il Syrian Center for Media and Freedom of Expression ha avviato una mappatura delle sparizioni forzate, ma le difficoltà di accesso alle informazioni e le minacce ai ricercatori rendono il lavoro estremamente rischioso. Il Consiglio per i diritti umani dell’Onu ha inserito la questione delle sparizioni di donne in Siria nell’agenda del suo terzo trimestre, chiedendo una missione di accertamento indipendente. Tuttavia, la cooperazione da parte del governo siriano resta minima.
Quella delle sparizioni forzate in Siria resta una delle ferite aperte per cui la società civile chiede iniziative e risposte concrete. Oltre 150mila persone sono scomparse in Siria negli anni della guerra, 300mila dall’insediamento della dinastia degli Assad nel 1970. Queste nuove sparizioni gettano una nuova ombra sul rispetto dei diritti umani e dei diritti delle donne. Attualmente, nelle nuove istituzioni solo il 18% dei componenti sono donne e per le siriane, che non hanno mai accettato di essere solo vittime, e si sono sempre impegnate come protagoniste attive nella resistenza civile, la strada per la parità è tutta in salita.