la Repubblica, 14 novembre 2025
Cpi, schiaffo al governo: “Il mandato dalla Libia dopo il rilascio di Almasri”
Una richiesta strumentale, una mossa tattica volta a mettere in difficoltà le autorità». La Corte penale internazionale dà un’altra spallata all’Italia sul caso Almasri confermando, in sostanza, che Palazzo Chigi ha mentito. Dopo l’arresto del torturatore libico a Tripoli, il nostro governo ha provato a sostenere di averlo liberato perché esisteva una richiesta di estradizione libica. Ma così, secondo la procura dell’Aia, non era. E il perché è ricostruito punto su punto. In quello che già il tribunale dei ministri, e gli stessi dirigenti del ministero della Giustizia, avevano evidenziato: e cioè che la scarcerazione era arrivata prima dell’arrivo della documentazione libica. Una documentazione, tra l’altro, superficiale e inadatta a determinare qualsiasi conseguenza. «Dai documenti acquisiti presso l’Aise», scrive infatti il procuratore Karim Khan, «risulta che la traduzione in italiano della richiesta di estradizione era stata effettuata – dalla stessa Ambasciata italiana a Tripoli – tra le 18:28 e le 20:02 del 21 gennaio 2025. Poiché a quel punto la persona indicata era già fuori dal territorio nazionale, o meglio, già rientrata in Libia, si erano limitati a protocollare la richiesta e chiudere il procedimento con un non luogo a provvedere, non sussistendo l’obbligo di comunicazione ai sensi dell’articolo 90 dello Statuto, che presuppone la contemporanea pendenza di richieste concorrenti – circostanza che nel caso di specie non ricorreva».
Dunque, scrive la Cpi: la richiesta ufficiale libica era arrivata, come aveva segnalato il tribunale dei ministri e al contrario di quanto sostenuto nei giorni scorsi da Palazzo Chigi, quando Almasri era già stato liberato. Ed è per questo, per il tentativo del governo italiano di far passare la liberazione del criminale libico come un atto procedurale e non come una scelta politica, che la Corte dell’Aia deposita questi documenti davanti al tribunale che dovrà decidere se sanzionare o meno il nostro Paese. «In ogni caso – annota inoltre il procuratore – analizzata la richiesta arrivata dalla Libia», gli stessi tecnici italiani «avevano rilevato che si trattava tecnicamente di una richiesta di estradizione strumentale, una mossa tattica volta a mettere in difficoltà le Autorità qualora avessero deciso di darvi seguito. Tale valutazione era confortata dal fatto che la richiesta era pervenuta sprovvista di atti e documenti ufficiali, senza alcuna indicazione del titolo processuale esecutivo o del mandato di cattura, e senza il cosiddetto “reading the case”, vale a dire l’analisi del caso con il riassunto delle indagini e del procedimento». Le estradizioni, inoltre, normalmente si basano su mandati di arresto. E invece nel caso di Almasri esisteva soltanto l’indicazione di un’indagine in corso. «La richiesta libica – ha scritto il tribunale dei ministri – faceva generico riferimento a inchieste in corso, senza indicare un numero di procedimento e men che meno una sentenza di condanna o altro provvedimento restrittivo della libertà personale da eseguire». Ora l’Assemblea degli Stati dovrà decidere se sanzionare o meno l’Italia. L’ultima bugia, certamente, non aiuterà.