Corriere della Sera, 14 novembre 2025
L’asse Ppe-estrema destra al Parlamento europeo per indebolire il green deal
Alla fine è successo quello che non era mai accaduto finora al Parlamento europeo: il Ppe, gruppo filoeuropeista, ha preferito proporre un testo per la semplificazione delle regole verdi a carico delle aziende (il cosiddetto «Omnibus I»), sapendo che sarebbe stato sostenuto dall’estrema destra euroscettica e non dai suoi alleati della «maggioranza Ursula», ovvero socialisti e liberali. La piattaforma ha invece votato unita la posizione del Parlamento sul taglio delle emissioni al 2040: riduzione del 90% con un 5% di flessibilità attraverso crediti di carbonio internazionali di alta qualità.
Al Parlamento europeo il Ppe, gruppo filoeuropeista, ha proposto un testo per la semplificazione delle regole verdi a carico delle aziende sostenuto dall’estrema destra euroscettica e non dai suoi alleati della «maggioranza Ursula», liberali e socialisti
Certo, non c’è stato alcun accordo prima del voto con i Patrioti (di cui fanno parte il Rassemblement national e la Lega) e i Sovranisti (in cui siede l’Afd). Dunque formalmente il Ppe non ha infranto il «cordone sanitario» – ovvero nessuna collaborazione con l’estrema destra —, ma nella sostanza non lo ha rispettato. Il voto è passato con 382 favorevoli, 249 contrari e 13 astensioni. Tra i deputati a favore anche 17 liberali e 15 socialisti. Per la presidente Metsola «il Parlamento ha ottenuto il risultato»: «Stiamo riducendo la burocrazia e garantendo un futuro sostenibile per tutti», ha scritto su X.
«Ci rammarichiamo che il Ppe abbia deciso di uscire dalla maggioranza filoeuropea per unire le forze con gli scettici sul clima e gli euroscettici dell’estrema destra», ha commentato in una nota il gruppo S&D. «È un precedente pericoloso per questa legislatura», ha detto la leader di Renew Hayer, che ha accusato il Ppe di avere respinto «senza motivo» alla vigilia «l’unico compromesso equilibrato, l’ultimo ponte responsabile tra il realismo economico e i nostri impegni sociali e climatici». Il relatore del provvedimento, l’eurodeputato svedese del Ppe Warborn, ha sostenuto che quando ha avuto discussioni con S&d, Renew e i verdi, non ha trovato «un modo credibile per ottenere una maggioranza». Fra i socialisti e i liberali c’è chi sospetta che il Ppe abbia voluto dare una prova di forza agli alleati dopo che nella plenaria del 22 ottobre il compromesso trovato dalla «maggioranza Ursula» è saltato per la defezione di una trentina tra S&D e Renew (impossibile sapere chi perché il voto era segreto). Il cancelliere tedesco Merz aveva bollato il Parlamento di comportamento «inaccettabile». E così ieri il presidente del Ppe Weber, stesso gruppo di Merz, ha esultato: «Promessa fatta, mantenuta e realizzata! È il giorno della “Fine della burocrazia europea”». «Abbiamo dimostrato che un’altra maggioranza, e un’altra politica per l’Europa, è possibile. È solo l’inizio», hanno detto i Patrioti. E per il capodelegazione di FdI Fidanza «anche per i prossimi passi nel percorso di semplificazione lo schema non potrà che essere questo».
Il Ppe ha presentato emendamenti che ricalcavano la posizione negoziale del Consiglio (gli Stati) al testo della Commissione per la semplificazione delle direttive Csddd, che obbliga le grandi imprese a controllare il rispetto delle regole ambientali e dei diritti umani su tutta la filiera, e Csrd sulla rendicontazione della sostenibilità aziendale. Il Parlamento ha innalzato le soglie d’applicazione della direttiva alle imprese con oltre 5 mila dipendenti e 1,5 miliardi di fatturato, ha eliminato l’obbligo dei piani di transizione climatica e sostituito le responsabilità dirette con sanzioni pecuniarie. La norma sulla rendicontazione verde si applicherà solo alle aziende con più di 1.750 dipendenti e 450 milioni di fatturato. Per le organizzazioni ambientaliste, il testo è stato «svuotato».